Oggi utilizziamo questo termine
per definire il progetto di sterminio
nazista e viene utilizzato dagli storici con due accezioni:
La prima accezione, include
l’espressione coniata dal nazismo per indicare il piano di eliminazione
sistematica degli ebrei che vivevano su suolo tedesco.
La seconda accezione, invece, oltre
allo sterminio, include anche la legislazione antiebraica, applicata in
Germania nel 1935 con le leggi di Norimberga e in Italia nel 1938 con le
leggi razziali.
La Shoah, infatti, si inserisce
all’interno di una storia di antisemitismo di lungo corso, basata
sui pregiudizi e sulle ostilità millenarie che si sono tramandati nel corso del
tempo.
Secondo le leggi di Norimberga venivano
considerati ebrei o di sangue misto, tutti coloro che avevano almeno un nonno
ebreo, indipendentemente dal fatto che si considerassero ebrei o che si fossero
convertiti ad altre religioni e seguendo questa impostazione, i nazisti si
proposero la distruzione totale e indiscriminata di ogni cittadino classificato
di razza ebraica, considerando gli ebrei un pericolo per la sicurezza nazionale
e la purezza della razza ariana.
Primo Levi nel suo capolavoro ‘Se questo è un uomo‘ ha
raccontato gli orrori dell’Olocausto, con parole di rara potenza e umanità.
Proprio per questo voglio riportarvi alcuni passi del romanzo per poter
riflettere su ciò che è accaduto, su ciò che hanno subito le vittime, sulla
sofferenza e sulle atrocità che un essere umano ha compiuto.
“Allora
per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per
esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con
intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al
fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è,
e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe,
anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non
ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo
trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa
ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”
“Avevamo deciso di trovarci,
noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito
smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e
più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e
poi, a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non
farlo.”
“Distruggere l’uomo è
difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci
siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra
nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno
sguardo giudice.”
“E infine, si sa che sono qui di passaggio, e
fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo
non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati
e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi
soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine
muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno.”
Spesso mi domando come l’uomo
sia potuto arrivare a tanto, mi domando come abbia potuto creare tanto dolore e
tanta sofferenza, mi domando come l’uomo sia riuscito a restare impassibile,
fermo, senza far trapelare emozioni di fronte a queste atrocità.
Proprio
per non commettere più ciò che accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale
dobbiamo continuare a ricordare, dobbiamo mantenere vivo il ricordo, dobbiamo
continuare a raccontare e non dimenticare mai.
MARTINA SIGNORILE - 5^A LSU
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