giovedì 26 gennaio 2023

LA VOCE DI CHI VOCE NON HA


Quando parliamo del genocidio degli ebrei avvenuto durante la seconda Guerra mondiale si utilizza il termine Shaoh, parola di derivazione ebraica e utilizzata nella Bibbia con il significato di catastrofe, disastro e distruzione.
Oggi utilizziamo questo termine per definire il progetto di sterminio nazista e viene utilizzato dagli storici con due accezioni:
La prima accezione, include l’espressione coniata dal nazismo per indicare il piano di eliminazione sistematica degli ebrei che vivevano su suolo tedesco.
La seconda accezione, invece, oltre allo sterminio, include anche la legislazione antiebraica, applicata in Germania nel 1935 con le leggi di Norimberga e in Italia nel 1938 con le leggi razziali.
 
La Shoah, infatti, si inserisce all’interno di una storia di antisemitismo di lungo corso, basata sui pregiudizi e sulle ostilità millenarie che si sono tramandati nel corso del tempo.
Secondo le leggi di Norimberga venivano considerati ebrei o di sangue misto, tutti coloro che avevano almeno un nonno ebreo, indipendentemente dal fatto che si considerassero ebrei o che si fossero convertiti ad altre religioni e seguendo questa impostazione, i nazisti si proposero la distruzione totale e indiscriminata di ogni cittadino classificato di razza ebraica, considerando gli ebrei un pericolo per la sicurezza nazionale e la purezza della razza ariana.

 
Primo Levi nel suo capolavoro ‘Se questo è un uomo‘ ha raccontato gli orrori dell’Olocausto, con parole di rara potenza e umanità. Proprio per questo voglio riportarvi alcuni passi del romanzo per poter riflettere su ciò che è accaduto, su ciò che hanno subito le vittime, sulla sofferenza e sulle atrocità che un essere umano ha compiuto.
 
“Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.”
 
“Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi, a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo.”
 
“Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.”
 
E infine, si sa che sono qui di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno.”
 
Spesso mi domando come l’uomo sia potuto arrivare a tanto, mi domando come abbia potuto creare tanto dolore e tanta sofferenza, mi domando come l’uomo sia riuscito a restare impassibile, fermo, senza far trapelare emozioni di fronte a queste atrocità.
Proprio per non commettere più ciò che accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale dobbiamo continuare a ricordare, dobbiamo mantenere vivo il ricordo, dobbiamo continuare a raccontare e non dimenticare mai.

MARTINA SIGNORILE - 5^A LSU

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