Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido (Albert Einstein).

Prima di sprofondare nel grande sonno voglio ascoltare l'urlo della farfalla (Jim Morrison).

Il futuro, significa perdere quello che si ha ora, e veder nascere qualcosa che non si ha ancora (Haruki Murakami).

Non sono una donna addomesticabile (Alda Merini).

Il mondo che ti circonda è stato costruito da persone che non erano più intelligenti di te (Steve Jobs).

mercoledì 24 febbraio 2021

Congo: un viaggio per la pace senza ritorno


Kanyamahoro Congo,21 febbraio 2021, ancora una volta le pagine dei notiziari parlano di tragedia.

Sono le 9:00 di mattina italiane quando la macchina dove viaggiava Luca Attanasio, ambasciatore italiano viene attaccata da 6 uomini incappucciati armati di machete e mitragliatrici. Attanasio stava prendendo parte al Convoglio Monusco, che faceva parte di una missione di peacekeeping operativa in Congo dal 1 luglio del 2010 e prorogata nel dicembre del 2020, un’attività che vede impegnati oltre 12.000 militari di una ventina di paesi.

Dopo aver ucciso l'autista Mustapha Milambo, i sequestratori hanno condotto gli ostaggi nella foresta e quello che si pensava essere solo un rapimento al fine di ottenere riscatto, si trasforma in tragedia: quando i rangers e la polizia locale arrivano sul posto si apre il fuoco e nello scontro armato muoiono sia Luca che il carabiniere Vittorio Iacovacci il quale ha tentato tutto pur di proteggere la vita dell'ambasciatore.

Un omicidio barbarico e rude rimasto impunito poiché tutt'ora i sei attentatori, che si pensa essere appartenenti al Fronte di Liberazione del Ruanda o alla malavita comune, sono ancora in fuga e con loro hanno tre ostaggi.

Il 23 febbraio le salme sono state portate in Italia è la bandiera collocata a mezz'asta per ricordare questa terribile caduta che si colloca come novantatreesima da quando la missione ONU è iniziata.

Luca, che già nel 2019 si era recato in Congo per onorare Culturidea e A.b.i.t., visitando il centro didattico fondato dall’associazione in due occasioni e partecipando attivamente alla vita scolastica dell’istituto. Verrà ricordato come una di quelle persone che compie il proprio lavoro per passione e spirito umanitario, ma lascia una moglie e tre figlie, mentre Vittorio, che proveniva da un reparto d'élite dell'Arma dei Carabinieri era un effettivo del XIII Reggimento Friuli Venezia Giulia con sede a Gorizia, e lascia una fidanzata con cui avrebbe convolato a nozze entro fine giugno.

Loro. che si erano recati in quel paese per portare pace e speranza, cosa che in quei luoghi manca da tanto, hanno pagato con la vita le lor belle intenzioni.

Cattani Martina 4^ A L.S.U.

Quanto incidono le nostre scelte sul mondo?


Vi siete mai questi come mai la maggior parte dei marchi economici producono vestiti esteticamente bellissimi e simili a quelli dell’Alta moda, a poco prezzo?

Sicuramente quando si va a fare shopping, poche volte ci siamo preoccupati su quanto quel determinato acquisto avrebbe inciso a livello mondiale.

Oggi ci proverò io, spiegandovi che cos’è il fast fashion e perché sarebbe meglio evitarlo.

Prima di tutto quando parliamo di fast fashion intendiamo tutti quei marchi che propongono ad un consumatore capi di abbigliamento belli a prezzi che sono a portata di tutti, che però devono fare i conti con la qualità medio-bassa.

Come tutti sappiamo più si spende più la qualità cresce, ma a chi piace spendere tanto se si può avere la stessa cosa ad un prezzo molto più basso?

Qualche volta però una dose di consapevolezza serve a tutti, e ritengo quindi importante fare delle ricerche per capire chi paga il prezzo delle nostre scelte.

Il fast fashion, come concetto e definizione vera e propria, nasce intorno agli anni ‘70/’80, decennio che vede infatti la creazione di marchi come Zara, H&M ecc. con l’obbiettivo di democratizzazione del lusso, proponendo al consumatore capi ispirati alle collezioni di haute couture, che ovviamente sono fatti con materiali di bassa qualità. Oltre a compromettere l’ecologia ambientale andando ad influire sul riscaldamento globale del 10 %, questo tipo di moda vede, all’interno delle industrie tessili, lo sfruttamento della mancanza di diritti che proteggono gli individui a proprio favore.

Se ci fate caso, quando acquistate un capo da uno di questi brand, nell’etichetta troverete raramente l’Italia come paese in cui è stato fabbricato, infatti spesso e volentieri i paesi in cui vengono prodotti questi capi sono il Marocco, il Bangladesh, l’India ecc..

La politica che sta dietro a questa scelta ovviamente è per tutelare i propri interessi: avere industrie tessili all’interno di paesi che non tutelano i diritti umani fa sì che si paghi i lavoratori e le industrie di produzione decisamente meno, a differenza della produzione di capi in paesi come Italia, Francia, Austria e altri.

Oltre al lato economico in sé, c’è anche il vantaggio che le industrie del fast fashion hanno, ovvero quello di velocizzare i processi di produzione, andando a produrre circa 52 micro-collezioni, a differenza dei grandi marchi che vedono due collezioni: winter e spring-summer.

Ma per farvi capire meglio come le industrie tessili siano disposte a tutto pur di proteggere i propri interessi vi cito l’episodio della tragedia avvenuta a Savar, in Bangladesh, il 24 aprile del 2013, quando migliaia di operai tessili furono evacuati dal Rana Plaza, un edificio di otto piani che ospitava all’interno 5 industrie di produzione di tessuti dei grandi marchi occidentali. Il giorno prima furono segnalate le crepe che si trovavano sui muri e che anticipavano un crollo dell’edificio, ma indovinate un po’: il giorno dopo la segnalazione, a lavoro vennero solo gli operai delle 5 industrie tessili che si trovavano lì. L’edificio infatti crollò, portando dietro alle proprie macerie 1129 morti e 2515 feriti.

Quindi in sostanza: perché bisogna evitare di sostenere il fast fashion?

Prima di tutto perché il nostro pianeta vede come maggior contributore dell’inquinamento l’industria della moda, che si trova infatti al secondo post, dopo il petrolio; basta pensare che per produrre un solo paio di jeans servono tra i 7000 e i 10000 litri d’acqua. In secondo luogo il modello di business che vede migliaia di persone schiave di questo sistema capitalistico - infatti il lavoratore viene pagato decisamente meno rispetto a quanto vengono fatte pagare le cose che producono - e la mancanza di tutela dei diritti umani.

Fidatevi che è meglio spendere un po’ di più per qualcosa che sappiamo che durerà a lungo e che allo stesso tempo è in collisione con la nostra idea di politica corretta che sosteniamo. Alcuni marchi che vi posso consigliare sono: WRÅD, ID.EIGHT e SaltyCo.

Una domanda che potrebbe sorgervi spontanea è: come posso evitare di acquistare da questi brand se alla fine sono quelli più economici?

Prima di tutto informatevi su quali brand e marchi scegliete di sostenere andando a comprare da loro, e poi un’opzione potrebbe essere quella di valutare i vestiti di seconda mano. Non storcete il naso, perché basta sapere da chi andare per comprare vestiti alla moda e allo stesso tempo ecologici.

Ricordatevi che per fare la differenza basta iniziare ad informarsi e valutare le varie opzioni per non sostenere un mondo che abusa dei diritti umani e del nostro pianeta.

Suha Marmash, 4ALSU

STUDENTI: “No Man” o “Yes Man”?


Adolescenza…

Ora sembra quasi una parola strana, senza valore, fastidiosa. Perché, ormai, tutto quello a cui pensiamo pronunciando quella parola riguarda solo ricordi lontani di una vita passata. Ma perché dico questo? Perché, e sembra quasi scontato dirlo, la vita prima del Covid-19 fa parte di una realtà che non ci riguarda più.

È cambiato tutto: le nostre abitudini, le nostre uscite, le nostre amicizie, i nostri rapporti, i nostri sentimenti. E saremo tutti d’accordo nel dire che ormai siamo tutti stanchi.

Ma potrei star qui a ripetervi sempre le stesse cose e a darvi dati mostruosi come questi: una nuova indagine condotta su 1000 studenti tra i 14 e i 18 anni da IPSOS per conto di Save the Children, “I giovani ai tempi del Coronavirus”, dichiara che il 28% degli studenti afferma che almeno un loro compagno di classe avrebbe smesso di frequentare le lezioni. Inoltre, c’è molta preoccupazione anche a livello di preparazione scolastica: il 35% degli studenti, infatti, si sente più impreparato rispetto a quando si seguivano le lezioni in presenza.

Potrei continuare così all’infinito.

Per esempio, potrei anche dirvi che tra i sentimenti dominanti tra gli studenti vi sono la stanchezza (31%), l’incertezza (17%) e, ovviamente, la preoccupazione (17%). Ma ci fanno compagnia anche l’apatia, la tristezza, il disorientamento e la solitudine. E potrei anche confermavi tutto visto che, fino a prova contraria, sono anch’io una studentessa.

Ma non lo farò, perché lo scopo di questo articolo è un altro.

Ieri mi sono ritrovata a guardare un film che non avevo mai visto prima anche se, probabilmente, molti di voi lo conosceranno: “Yes Man” con il famosissimo e carismatico Jim Carrey (trailer: https://youtu.be/qzEbDO5GmRE).

Jim Carrey veste nei panni del protagonista Carl Allen, un uomo che, dopo la separazione con la moglie, ha una visione sempre più negativa della sua vita e ignora regolarmente i suoi amici Pete, interpretato da Bradley Cooper, e Rooney, interpretato da Danny Masterson. Un giorno, un vecchio collega, Nick Lane (John Michael Higgins), gli suggerisce di andare ad un seminario sull' autostima, che incoraggia a dire "Sì!” ad ogni cosa. Carl seguirà questo consiglio alla lettera e si ritroverà a dire “Sì” a qualsiasi cosa diventano così uno “Yes Man”.

Immaginate: cosa potrà mai succedere ad un uomo che dopo aver detto di “No” a tutte le novità della sua vita, all’improvviso inizia a dire di “Si” a tutto?

La sua vita non può che cambiare e, infatti, si ritrova ad imparare cose che, se avete visto/guarderete il film, gli saranno utili per risolvere delle situazioni complicate. Inoltre, troverà anche l’amore della sua vita. Sembra quasi surreale, perché la sua vita cambia per un semplice e banale “Si”. La cosa più sorprendente è che, ad un certo punto del film, Carl inizia a dire “Si” non perché è costretto a causa del seminario citato precedentemente, ma perché ormai non ha più paura di affrontare le novità e di dare, così, una svolta alla sua vita.

Nonostante ciò, ad un certo punto, si renderà conto del vero potere del “Sì” e capirà che non esistono solo il bianco o il nero, ma esiste anche una via di mezzo in cui le decisioni devono essere meditate e ben studiate con le persone che ci circondano. Insomma, questo film è una vera e propria metafora del cambiamento che, spesso, ci prende alla sprovvista e ci fa credere che fare le cose di fretta sia la soluzione migliore.

Quindi, sì, questa situazione non potrà essere delle migliori e noi studenti, come tutto il mondo, è stanco, stressato e non ne può più di cambiare colore. Ma quello su cui vorrei puntare io è questo: solo perché siamo bloccati in questo loop temporale in cui sembra di rivivere sempre le stesse giornate, paradossalmente, non bisogna avere paura di certi cambiamenti repentini. Forse, come Carl all’inizio, siamo sempre stati dei “No Man”, ma ora bisogna imparare a guardarsi intorno, ad alzare gli occhi da quei libri, da quel computer, da quel problema e dire, per una volta, “Sì!”.  Perché non c’è un’età prestabilita per fare determinate esperienze e cambiare radicalmente la propria vita.

Perché non c’è un’età per diventare uno “Yes Man”.

Una postilla da non dimenticare: stiamo comunque attenti a quali sì diciamo, alle volte anche un bel sano No ci aiuta a vivere i cambiamenti.

Mariarosaria Cipolletta

4ALSU


La canzone di Achille Di MADELINE MILLER


« Aveva davvero pensato che non lo avrei riconosciuto? Lo riconoscerei anche solo dal tocco, dal profumo, lo riconoscerei anche se fossi cieco, dal modo in cui respira, da come i suoi piedi sferzano la terra. Lo riconoscerei anche nella morte, anche alla fine del mondo.»

Un amore nato per sbaglio, un amore tra due giovani, prima amici, poi amanti. Non potrebbero essere più diversi eppure è proprio questa la loro diversità a farli innamorare così profondamente e incondizionatamente.

“ Eravamo come dei all'alba del mondo e la nostra felicità era così abbagliante che non potevamo vedere altro che noi” .

Achille, il più grande guerriero della sua generazione, pura luce, oro brillante, creatura irraggiungibile e dalla grande imponenza, vittima della sua stessa arroganza. Ne “La canzone di Achille” dovrà interfacciarsi contro qualcosa che colpisce persino una divinità come lui: L’ AMORE. 


L’amore nei confronti di colui con il quale è cresciuto, dell’essere più goffo, lento e minuto di tutta la Grecia, Patroclo. Se Achille è fuoco, forza, orgoglio, è furioso con i nemici, impetuoso in battaglia ed estremamente impavido di fronte a ogni circostanza; Patroclo è l’esatto contrario, è conoscenza, timidezza, perseveranza, la parte più umana e fragile di qualsiasi uomo ma… non in amore, in amore è lui la forza che porta avanti la loro relazione, è lui pronto a difendere ciò che prova contro tutto e tutti, mentre vittima del giudizio altrui risulta essere paradossalmente Achille.

Sullo sfondo della celeberrima battaglia di Troia, attraverso le parole di Patroclo, assistiamo al loro primo incontro, alla nascita della loro amicizia e, successivamente a un rapporto dolce, intimo e passionale, dove il celebre eroe acheo potrà liberarsi di tutta la sua armatura con cui ormai da anni si protegge. Achille e Patroclo impareranno a riconoscere, accogliere e vivere un sentimento amoroso via via più forte e consapevole che nessuno, né il disappunto della Dea Teti, né la profezia a cui Achille è sottoposto, potrà separarli.

 

“Il suo volto è innocente, levigato dal sonno, dolce come quello di un ragazzino. Amo guardarlo. Lui è questo, sincero e innocente, dispettoso ma senza malizia. Si è smarrito tra le doppiezze di Agamennone e Odisseo, tra le loro menzogne e i giochi di potere. Lo hanno confuso, lo hanno legato a un palo e ora lo torturano. Accarezzo la pelle morbida della sua fronte. Lo slegherei se solo potessi. Se solo lui me lo permettesse”

 


“La canzone di Achille” non è un semplice romanzo ma l’incontro di due anime destinate a stare insieme nell’eternità.

Madeline Miller mediante questo romanzo, ci racconta della leggendaria guerra di Troia in chiave moderna, mediante tecniche innovative e inaspettatamente sensazionali. Con pagine colme di dolcezza e di speranza, il romanzo coinvolge completamente il lettore che, durante la narrazione sarà travolto da un turbine di emozioni e sentimenti contrastanti.

Felicità, sofferenza per la separazione, complicità, amicizia, amore puro, sincero, incondizionato ma al contempo sofferto e condannato, sono solo alcune delle tematiche affrontate in questo incredibile romanzo .

“La canzone di Achille” è un libro che entra con prepotenza nei cuori di tutti i lettori, ammaliati dalla lirica e dallo scenario in cui quest’ultimo è contestualizzato, innamorati del sentimento puro che unisce Achille e Patroclo, insomma… una storia moderna e antica, capace di far breccia nel cuore di chiunque!

  «Verrai con me?» chiese.  


Il tormento infinito dell'amore e del dolore. Forse in un'altra vita, avrei potuto rifiutare, avrei urlato strappandomi i capelli, lo avrei lasciato solo ad affrontare la sua scelta. Ma non in questa. In questa sarei salpato per Troia e lo avrei seguito, persino nella morte. «Sì» sussurrai. «Sì.»

Il sollievo sbocciò sul suo volto, e le sue mani mi cercarono. Lasciai che mi tenesse stretto, che premesse il suo corpo sul mio, pelle contro pelle, così uniti che niente avrebbe potuto mettersi tra noi.

Le lacrime arrivarono e caddero. Sopra di noi, le costellazioni percorsero il cielo e la luna seguì il suo corso stanco. Achille e io giacemmo affranti e insonni, mentre le ore passavano."

-         Ziliani Camilla -

 Ho iniziato a leggere questo libro pensando che non avrei mai pianto per una storia già conosciuta, una storia tratta dalla mitologia, una storia romanzata. Ma mi sbagliavo. Durante la lettura delle pagine le lacrime scendevano spontaneamente riga dopo riga, in modo naturale e necessario.

La storia d’amore tra Achille e Patroclo mi ha lasciato un senso immenso di tenerezza attaccato alla pelle; la fragilità dell’animo umano che tende verso una passione viscerale e sconfinata.

E’ un bellissimo libro, l’autrice ha una scrittura fluida e chiara, che permette di essere letta con molta tranquillità; un libro che consiglierei soprattutto a chi piace la mitologia, la guerra di Troia e i miti Greci; anche se le vicende mitologiche sono solo da sfondo in primo piano abbiamo la storia d’amore tra Patroclo e Achille. 

                                                                              -MARTINA SIGNORILE- 



martedì 16 febbraio 2021

TOXIC MASCULINITY


Forse possiamo trovare un posto in cui sentirci bene, 
E possiamo trattare le persone con gentilezza,
trovare un posto in cui sentirci bene

e se fosse la musica?

Cari lettori, sicuramente vi starete chiedendo che cosa c’entri la musica con il concetto di “TOXIC MASCULINITY” ma, prima di tratte conclusioni affrettate, sedetevi, prendete qualcosa da mangiare e leggete con attenzione.

Abbiamo deciso di aprire questa rubrica dove seguiremo un tema principale per un determinato periodo di tempo e in cui si alterneranno playlist consigliate e, perché no, anche condivisioni di videoclip e traduzioni di alcune canzoni che magari hai sempre sentito alla radio. 

Il tema principale di questo mese sarà la “TOXIC MASCULINITY” 

Che c’entra con la musica? Intanto la musica ci accompagna in ogni momento e quindi direi che c’entra sempre, ma non è solo questo. Se osserviamo il mondo discografico possiamo notare molti stereotipi di genere: videoclip in cui vediamo uomini con tante donne che ballano loro intorno con fare ammiccante e vestite in modo succinto; la fatica che le donne devono fare per emergere in un mondo – anche questo come quello del cinema – fortemente maschilista ecc. ecc.

La musica però ci può liberare o quanto meno ci può aiutare a capire in che modo sintonizzare la società verso un’uguaglianza di genere e un ripulisti dagli stereotipi. La musica è universale e permette a chiunque di potersi esprimere a 360 gradi. La musica è il mezzo con cui tantissime persone comunicano, si esprimono, si mostrano per quello che sono, ma noi parleremo anche di chi sta dietro la musica e che sceglie di usare questo tipo di arte per tramettere i valori in cui crede che, spesso, non coincidono con la mentalità comune. Non è solo musica, ma è anche di chi fa musica e come sceglie di utilizzarla.

Allora provate a seguirci e vediamo se le differenze di genere possano essere il nostro primo tassello sul quale focalizzare la nostra analisi sociologica.

Prima di tutto è necessario fare un piccolo excursus in cui andremo ad analizzare il concetto di patriarcato perché, anche se non sembra, molti stereotipi provengono da questo concetto.

Il patriarcato è l’idea secondo la quale la famiglia e quindi anche la cultura derivino dal ramo maschile, così come se parlassimo di matriarcato parleremo di derivazione al femminile.

Inutile dire che questo concetto che in sé non ha nulla di sbagliato ha dato vita ad un insieme di altri sotto concetti stereotipati che vedono la figura maschile come quella più forte, infatti spesso e volentieri si parla di “uomo di casa” proprio perché si vede in lui la forza, sia fisica che emotiva, ma anche un sostegno economico. Un esempio molto semplice di patriarcato, ma che facendo parte della nostra tradizione non ci facciamo caso, può essere il seguente: perché il cognome che tutti noi abbiamo deve necessariamente essere del nostro padre? Perché è il risultato della radicazione del patriarcato nella nostra vita, fin dai primi tempi infatti i figli devono discendere dalla parte del padre.

Ma cosa c’entra questa definizione con il concetto di “toxic masculinity”? E cos’è quindi questa ideologia?

Quando si parla di «mascolinità tossica» si fa riferimento a quei comportamenti che in una determinata società sono per forza associati all’uomo, andando così a creare uno stereotipo, ovvero quello di “uomo alpha”, che incoraggia gli uomini a non mostrare la propria fragilità e paura così da poter essere considerato un “vero uomo” e sviluppando al contempo il sessismo e la misoginia.

Perciò il patriarcato, che si è sviluppato principalmente nel medioevo e venendo supportato anche dalla Chiesa, ha fatto sì che per generazioni e generazioni l’uomo venisse considerato l’anello forte della società.

Questo ha alimentato uno stereotipo dell’”alpha man” che, ancora oggi, in molte società è supportato e idolatrato. Ciò è stato alimentato, come quasi tutte le idee “sbagliate”, dai media, tradizioni culturali, poca informazione e distacco dal progresso socio-culturale .

Gli esempi che possiamo farvi sono i classici discorsi che si sentono ripetere la maggior parte dei bambini: “Francesco piangere è da bambine e tu sei un maschio, sei forte non debole come tua sorella; Francesco le bambole sono da bambine, andiamo a prendere le macchinine; te l’ho già detto Francesco, lo smalto può metterselo solo tua sorella perché è una femmina. “

Oggi, 2021, la virilità maschile è ancora fondamentale, perché ti garantisce posto a lavoro, un prestigio sociale, una “buona reputazione” ecc.

Ovviamente, quando si parla di una visione del mondo, ci sono varie posizioni a cui prendere parte, quelle più rilevanti sono: chi appoggia e sostiene questo modo di pensare, chi cerca un modo per rompere questi stereotipi e chi, invece, se ne sta in silenzio (questo, tuttavia, va incluso nella parte di chi appoggia questi stereotipi perché, di fondo, la situazione non cambia).

Chi sceglie di distaccarsi dalla mentalità patriarcale e sceglie di prendere posizione esprime la sua opinione in vari modi.

Quello su cui ci concentreremo maggiormente sarà la musica, anche se affronteremo tendenzialmente tutto ciò che riguarda l’arte e che permette di essere più liberi di appoggiare determinate posizioni nel campo socio-culturale e che vede una vera e propria lotta contro tutti quegli stereotipi che moltissime società hanno ancora radicate nelle proprie tradizioni.

E ricordatevi: “Treat people with kindness” (cit. Harry Styles).

Suha Marmash

Mariarosaria Cipolletta

4ALSU

 

lunedì 15 febbraio 2021

13 REASONS WHY


"Tredici" è una serie televisiva di produzione statunitense il cui titolo originale è "13 REASONS WHY". La realizzazione della serie è iniziata nel 2017 e al momento vi sono 4 stagioni da 10/13 episodi l’una. 

Definire Tredici un semplice teen drama è assolutamente riduttivo, e forse anche un tantino “offensivo” se si considera l’altissima qualità del prodotto e la sensibilità con la quale Brian Yorkey – autore della sceneggiatura – si è approcciato ad una storia sì basata su un romanzo (“13 Reasons Why” dello scrittore americano Jay Asher) ma allo stesso tempo capace di svincolarsi dalla fonte letteraria e riuscire a camminare con le proprie gambe laddove alcuni passaggi della materia originaria sono stati modificati con l’obiettivo di rendere l’impatto sul pubblico di riferimento (composto non soltanto da adolescenti) ancora più forte.

La serie si avvale di una struttura narrativa assai complessa dove, viene raccontata non solo la storia di un suicidio, ma anche quella di un malessere, prima personale e poi collettivo.

Hannah Baker è una liceale che un giorno decide di porre fine alla sua vita, suicidandosi. Alcuni giorni dopo un suo compagno di scuola, Clay Jensen, riceve una scatola contenente sette cassette registrate da Hannah prima di morire in cui la ragazza spiega i tredici motivi per cui ha deciso di mettere fine alla sua vita. Per scoprire il suo ruolo all’interno della storia della ragazza, Clay inizia ad ascoltare le cassette, scoprendo a poco a poco alcune sconvolgenti verità non solo sulla vita di Hannah ma anche su quella dei suoi compagni di scuola.

Tredici è una serie che non indora alcuna pillola. Il più grande merito della serie è proprio quello di non edulcorare nessuno dei suoi delicatissimi temi, ma di trasporli con lucidità e spesso con crudezza.

Brian Yorkey e il resto degli sceneggiatori costruiscono un ottimo dramma dalle venature thriller senza paura di mostrare la vacuità e l’orrore che caratterizzano la vita dei protagonisti, ognuno tratteggiato splendidamente e colto quasi alla perfezione mentre cerca di barcamenarsi con presunta furbizia e palese ingenuità tra le proprie paure, le proprie insicurezze, la propria posizione privilegiata all’interno di quell’inferno che può essere il liceo e i propri scheletri nell’armadio.

Come sempre se vi ha incuriosito la recensione vi lasciamo il link del trailer

https://youtu.be/fjy0mYCx2jE

Selia e Katia



CONCORSO “IL PRESEPE DELLE CAMPAGNE” XI edizione

2^classificato, foto di Ilaria Pierangeli, 3alsu

Natale tra difficoltà e assenza

Il Natale è un periodo di presenza, quella di Dio e degli affetti più cari. Purtroppo però quello dell’anno appena trascorso sarà ricordato come il Natale dell’assenza, a causa di un DPCM che regola la vita di ognuno di noi per tutelarne la sicurezza. Percorrere le nostre campagne alla ricerca dei presepi allestiti da “Terre Traverse” non è stato semplice - date le restrizioni - ma questo ci ha fatto percepire l’importanza di un momento speciale. Vedere questi presepi ci ha restituito il senso della tradizione e della normalità che questo 2020 ci ha portato via. Incontriamo l’umiltà e il silenzio della natura, che cresce lenta in queste campagne, lontani dal rumore, dal frastuono e dalla frenesia social, così persistenti da invadere le vite di tutti. In questo terreno in cui non c’è “campo”. Percorrere queste terre ci porta con l'immaginazione in un luogo ameno, in cui permangono gioia e ricordi che ciascuno lega alla tradizione. La testimonianza di questi presepi, fatti di cose semplici e quotidiane, rappresenta chi non si arrende di fronte alla sofferenza e chi comprende che, per quanto si cerchi di costruire certezze, la nostra vita è nelle mani di altri e non è mai stata di nostra esclusiva proprietà. Si vive e si spera! Questo è il coraggio che si avverte in queste meravigliose campagne. Richiamando la dimensione del presepe, se ci rendiamo conto che Cristo è entrato nella storia attraverso le difficoltà enormi che hanno affrontato Giuseppe e Maria, mi chiedo come possiamo non riconoscerlo e vederlo presente nella nostra quotidianità fatta di fatica e di incertezza. Forse manca il coraggio di chi la vita sa accoglierla. Forse manca la semplicità di una stalla, di un bue e di un asinello per capire che le piccole cose ci aiutano ad andare avanti e a trovare il coraggio per credere e sperare. 

SOFIA GIALLOMBARDO, 5ALSU premio Libertà

Il giorno sabato 13 febbraio dalle ore 11:00, presso l’agriturismo Battibue a Fiorenzuola d’Arda, si è tenuta la premiazione del concorso “Il presepe delle campagne”. 


L’iniziativa, che è stata promossa dall’Associazione ”Terre Traverse”, ha coinvolto le famiglie di Baselicaduce, San Protaso e I Doppi, frazioni di Fiorenzuola d’Arda e di Castell’Arquato, che sono state invitate ad allestire presepi che rappresentassero la concretezza della vita quotidiana, utilizzando materiali semplici e usuali come il legno, il ferro o i mattoni.


All’iniziativa, è stato affiancato il concorso per immagini e parole, promosso con lo scopo di recuperare le tradizioni popolari e religiose, valorizzare la narrazione artistica di un’esperienza e promuovere la conoscenza del territorio agricolo piacentino.

Il concorso, rivolto a chiunque avesse voluto partecipare, è stato diviso in tre sezioni:

  • Sezione Immagini GIOVANI (fino a 16 anni di età),

  • Sezione Immagini PER TUTTI (oltre i 16 anni di età),

  • Sezione Parole senza vincoli di età.


Tutte le fotografie e tutti i testi che hanno partecipato al concorso sono state esposte nella location in cui si è svolta la premiazione.

La giuria, presieduta dall’ex direttore del quotidiano Libertà, Gaetano Rizzuto, e composta da un membro della redazione de Il Nuovo Giornale, del Club Cinefotografico di Fiorenzuola, degli Amici del Presepe, e da due esponenti di Associazione Le Terre Traverse, ha nominato un primo ed un secondo classificato per ognuna delle tre sezioni.

I partecipanti nella sezione Immagini GIOVANI premiati sono stati la scuola media U. Amaldi di Roveleto di Cadeo, con la redazione “Chi più ne ha più ne metta”, a cui è andato il premio per la migliore fotografia, ed il Mattei's Blog e Carpe diem dell’Istituto Superiore E. Mattei di Fiorenzuola d’Arda, a cui è stato assegnato il secondo posto con il premio “Il nuovo giornale”. Nella sezione Immagini PER TUTTI, invece, si è classificata al primo posto con il premio “Terre Traverse” Donata Meneghelli, seguita da Enrico Berti. Vi sono stati poi due premi ex aequo nella sezione Parole con il premio “Libertà” aggiudicati a Enrica Bardetti e a Sofia Giallombardo, studentessa del Liceo delle Scienze Umane dell’Istituto Superiore E. Mattei, che ha partecipato al concorso con il testo “Natale tra difficoltà e assenza”. Il secondo premio per la sezione Parole è stato infine assegnato a Renata Bussandri. 

Ai vincitori del concorso sono stati conferiti una targa ed un cesto di prodotti tipici piacentini.


Ilaria Pierangeli, 3ALSU

 

 



domenica 14 febbraio 2021

L’Arte e l’artista

Nel corso dei secoli l’arte è mutata tantissimo, così come la sua concezione.
Il termine arte deriva dal greco “techne”, traducibile in “machine” latino, e dal termine “ars, artis”, parole con cui si intendevano le abilità specifiche correlate a un mestiere concreto.  

Basti pensare che il termine “ars” è la radice di parole come artigianato, artificiale… A indicare qualcosa che va creato perché non presente in natura.
L’arte è comunicazione, rompe tutte le barriere linguistiche, infatti è, forse, una delle forme comunicative più efficaci.

Perché l’uomo primitivo ha usato le pitture rupestri per raccontare una storia o per ricordare un evento o a scopo propiziatorio? O per tutti questi motivi? Di sicuro si tratta di un metodo comunicativo comprensibile a tutti, anche a noi a secoli di distanza.

Infatti quando ci si riferisce all’arte si parla spesso di “universalità”, nonostante questa sia riflessione di un contesto storico-culturale è anche riflesso interno dell’artista, dei suoi sentimenti.

L’uomo in quanto appartenente alla specie umana prova determinati sentimenti ed emozioni che possono più o meno essere comprensibili ad altri. L’empatia e la compassione fanno parte del nostro patrimonio genetico, ecco perché ci sentiamo turbati dall’Urlo di Eduard Munch o dall’arte metafisica, mentre rimaniamo incantati dalla Gioconda di Leonardo da Vinci o dalla Ragazza con l’orecchino di perla di Johannes Vermeer.
L’uomo ha una propria individualità, un castello interiore che può esprimere attraverso l’arte là dove le parole non riescono ad arrivare.

Ci sono alcune emozioni, esperienze, condizioni che non possono essere espresse parlando, né si potrebbero intendere in tal modo. Sono comprensibili solo nel momento in cui vengono raffigurate.

Per secoli l’artista non si è distinto dall’artigiano.

Questa separazione ha avuto inizio solo a partire dal Medioevo quando iniziò ad essere diffuso nella popolazione il dubbio di inserire l’artista/artigiano nelle arti meccaniche o nelle liberali. Inoltre in questo periodo compare anche nelle opere la firma dell’artista.

La distinzione tra le due figure diventò più profonda attorno al XV secolo, quando venne coniato il termine tedesco “kunst” che comprendeva il significato di arte collegata alle materie intellettuali.

Infatti a partire da quel momento l’artista iniziò a essere lentamente considerato un intellettuale.

Diversi storici hanno tentato di definire il ruolo dell’artista.
Secondo Vico e successivamente anche secondo Garroni l’arte è alla nascita della società. Essa si pone quasi come tappa fondamentale della formazione di una popolazione.

Secondo Burckhardt Jacob, storico svizzero, invece, l’arte è il risultato di capacità interne, poiché egli -l’artista- riesce a prendere qualcosa che è dentro di sé e tirarlo fuori trasformandolo in qualcosa di concreto, visibile a tutti, seppur non da tutti comprensibile.

Successivamente, secondo D. Formaggio, l’arte è tutto ciò che le persone vogliono nominare come tale, ne deriva che chiunque dica di esercitare l’arte possa definirsi artista. Tuttavia altri due studiosi, B. Frey e W. Pommerehne, ci sono dei parametri per riconoscere un artista:

-la persona deve essere definita artista dal pubblico;

-la persona deve essere definita artista dagli esperti;

-la persona deve considerarsi artista -il tempo che si dedica all’esercizio dell’arte;

-il reddito che si riceve per tale lavoro;

-un attestato/laurea da enti o scuole come l’Accademia di Belle Arti;

-qualità dell’opera (sempre che sia possibile definirne la qualità).

Secondo altri l’artista è colui che non potrebbe vivere senza arte.

Quindi da questi esempi si può notare come a partire dal Medioevo l’artista e l’artigiano abbiano iniziato a direzionarsi su binari diversi, ciò non significa opposti.

L’artista si evolvette verso la figura di intellettuale, allontanandosi da semplice operatore.

Nel saggio Operazione e metaoperazione. L’arte come risvolto riflessivo della tecnica di Emilio Garroni, l’autore pone una necessaria distinzione da fare quando osserviamo un’azione.

Bisogna distinguere quella visibile da quella invisibile della componente metaoperativa. Per comprendere questo concetto l’autore parla della realizzazione degli oggetti. C’è lo scopo immediato che consiste nella costruzione dell’opera e quello seguente, non immediato che potrebbe o meno realizzarsi. È in questa divisione di scopi che la meta-operatività trova spazio: costruire un oggetto per scopi successivi che possano o meno avere riscontri nella realtà.

Garroni dice che l’uomo ha iniziato a distinguersi dagli animali proprio nel momento in cui ha attuato la meta-operatività. Questa si trova nel passaggio di concepire la felce da strumento utile a materiale per realizzare altri oggetti.

L’arte ha una componente prettamente metaoperativa, ovvero il suo scopo secondario (quello che non consiste nel completamento dell’opera stessa) è tutt’altro che immediato; è successivo eppure non comprensibile a tutti, fondamentalmente perchè dell’arte non si fa nulla di concreto, ma l’uomo basa la sua sensibilità su concetti astratti di cui l’arte è ottima mediatrice.

Quando ci poniamo di fronte a un’opera d’arte per analizzarla dobbiamo necessariamente conoscere il contesto storico-culturale e la biografia dell’artista. Infatti è noto che l’arte è da sempre contemporanea: è un

riflesso del contesto nel quale l’artista si forma e dal quale è circondato.

Opere, stili pittorici, ecc. non sarebbero comprensibili se non collocati in

un contesto storico.

Basti pensare all’arte novecentesca, senza ombra di dubbio rivoluzionaria, seppur a un primo sguardo possa apparire insensata, è in realtà il riflesso di una società in cambiamento.

Il Novecento è stato piegato dalle due Guerre Mondiali e dai Dopoguerra, la società ha attuato modelli consumistici, ha avuto luogo la Seconda rivoluzione industriale…

L’arte dello scorso secolo non sarebbe concepibile senza considerare questi aspetti.

Guernica di Pablo Picasso sarebbe incomprensibile fuori dal suo contesto bellico.

Oltre a ciò è necessario considerare anche la vita degli artisti, le loro esperienze, influenze ed emozioni.

A questo punto si possono capire alcune scelte e rappresentazioni quali le feste al Mouline Rouge di Toulouse Lautrec, la cui vita fu caratterizzata per un periodo dalla frequentazione di certi ambienti.

I dipinti di Paul Gauguin sarebbero inspiegabili senza sapere del suo viaggio in Estremo Oriente e gli esempi potrebbero continuare all’infinito. 

In conclusione possiamo affermare che lo sviluppo dell’arte ha rappresentato un importante passaggio nel corso dell’evoluzione umana in cui l’uomo ha iniziato a concepire ciò che lo circondava in modo diverso, sviluppando, così, la metaoperatività descritta da Garroni.
Tuttavia fermarsi a questa visione sarebbe riduttivo, infatti, come detto precedentemente, arte è anche comunicazione di azioni, fatti, ecc. ma soprattutto di emozioni.

In questa espressione di sentimenti l’artista ha avuto talvolta piena libertà, talvolta, invece, è stato vincolato, basti pensare ai rigidi canoni Greci, fortunatamente questi schemi rigidi sono per lo più tipici del passato.

Questo ha permesso che nel corso degli anni si siano susseguiti artisti diversi, stili diversi, materiali diversi, eppure proprio questa diversità ci permette, oggi, di godere di quelle piccole finestre sul passato in grado di proiettarci ad un’arcaica caccia, a un lancio del disco, alla vita a Pompei, alla rivolta del Terzo Stato, a un laghetto ricco di ninfee, a una passeggiata domenicale a fianco della Senna, a un vorticoso cielo stellato…

Se la scienza ci spiega l’impossibilità di viaggiare nel tempo, l’arte offre vie alternative per farlo, senza mai dimenticarsi delle emozioni che vengono suscitate in noi osservando quella piccola scheggia di storia o di pensiero, di sentimento, di sensibilità.

 L’arte deve confortare il disturbato e disturbare il comodo.” - Banksy

 

Arianna Cilente, 3ALS


La verità sul caso Harry Quebert


Nel 1975 Nola Kellergan scompare da Aurora, nel New Hampshire; per diversi anni non si saprà nulla di lei, del suo corpo e della sua vita fino a quando nel 2008 viene trovato il suo cadavere…

Marcus è un giovane scrittore alle prese con l'uscita del suo nuovo romanzo ma non ha più ispirazione, non riesce a scrivere, ha il blocco dello scrittore; il suo ex professore universitario Harry Quebert, che rappresenta per Marcus un vero amico, lo invita  nella sua bellissima villa  ad Aurora per ritrovare quella ispirazione che ormai era perduta. Ma quello che aspetta Marcus non è certo una vacanza, infatti nel giardino della villa del professore la polizia trova il cadavere della ragazzina scomparsa circa trent’anni fa, Nola Kellergan.

Nel 1975, Harry Quebert è un giovane scrittore newyorchese che si trasferisce ad Aurora per cercare ispirazione per il suo secondo libro, ma oltre che scrivere il suo celebre romanzo, ad Aurora conoscerà  Nola, una ragazza di quindici anni, quando Harry, di anni ne ha trentaquattro; tra i due è amore a prima vista, nessuno dei due può stare senza l’altro, ma allo stesso tempo non possono stare insieme perché Harry è troppo vecchio e Nola troppo giovane. 


“Nella mia vita c'era solo Harry; e per me, stranamente, non si trattava di sapere se fosse davvero colpevole o no: la risposta non avrebbe cambiato nulla nella profonda amicizia che provavo per lui”.

Andando avanti con la lettura ci immergiamo in vecchi racconti, storie segrete e casi oscuri; un’ondata di mistero si avvolge attorno al caso di questa povera ragazzina scomparsa e tocca noi scoprire quello che è successo. 

“L’amore è molto complicato. È la cosa più straordinaria e al tempo stesso la peggiore che possa capitare. Un giorno lo scoprirai. L’amore può fare molto male. Questo non significa che si debba aver paura di cadere, e soprattutto di precipitare nella voragine dell’amore, perché l’amore è anche bellissimo ma, come tutto ciò che è bello, abbaglia e fa male agli occhi. È per questo che spesso, dopo, si finisce per piangere.”


Un giallo che mi ha tenuta incollata alla pagina e con fiato sul collo per tutto il tempo perché non c’è nulla di scontato e quando ci sembra di essere vicini alla soluzione ci accorgiamo che, in realtà, siamo fuori pista. 

LEGGETELO. Non perché sia imperdibile, non perché sia il miglior romanzo della sua categoria ma perché la fantastica abilità narrativa di Joel Dicker saprà trascinarvi nel ‘75, in una tranquilla cittadina americana dove non succede mai nulla e un terribile omicidio è stato consumato.

-Martina Signorile-

Scrittura leggera, trama ben strutturata, continui colpi di scena.

La trama di “La verità sul caso Harry Quebert” possiede un gran potenziale, tratta di un'indagine investigativa inerente ad un crimine commesso anni prima. Ora, dopo anni di ricerche e indagini, a trent’anni dal caso, è stato ritrovato il cadavere della vittima: Nola Kellergan. Il principale accusato? Harry Quebert!  Migliore amico e mentore letterario del narratore della storia.

Personalmente trovo che l'idea potenziale a cui l’autore si è ispirato per lo scrivere il libro fosse ottima e che la struttura potesse essere avvincente tuttavia, la scrittura di Joel Dicker, così piena di espressioni ridondanti, colpi di scena sempre più surreali e flashback mal inseriti all’interno della narrazione delle vicende, mi hanno portato a interrompere la lettura più volte, non coinvolgendomi emotivamente. I piani narrativi su cui si struttura il libro sono tre: PRESENTE, PASSATO e PASSATO REMOTO, nel primo il protagonista partecipa alle indagini inerenti al crimine, alla ricerca dell’assassino della ragazzina, il periodo temporale che riguarda il passato invece, è ambientato trent’anni prima, negli anni in cui viene commesso il crimine in questione, ed infine nell’ultimo piano narrativo: Il passato remoto,  il protagonista racconta in prima persona della sua adolescenza, e dell’incontro con il principale indagato: Harry Quebert.

A non convincermi ulteriormente, oltre al piano strutturale, sono i personaggi: poco descritti e approfonditi, hanno un modo di interagire tra loro poco credibile e molto stereotipato. 


“ La verità sul caso Harry Quebert” è una lettura che non farei per una seconda volta, tuttavia alla luce delle mie argomentazioni, non mi sento di sconsigliarvela perentoriamente dal momento in cui io, non essendo un'amante del genere, potrei non aver colto alcune delle intenzioni dell’autore, tale per cui consiglierei questo libro a chi apprezza particolarmente il genere ed è alla ricerca di una lettura leggera e veloce mentre, per chi come me è orientato verso altri generi, proporrei altre letture, forse più coinvolgenti.

-          Ziliani Camilla -