“Sarò un buon re Lyonel? Cosa diranno i libri di storia di me?”, si interroga, guardando di riflesso sir Lyonel Strong, uno stanco Viserys Targaryen (Paddy Considine, fantasticamente a disagio nei panni del re).
Si tratta di
uno dei momenti che fa da spartiacque nel destino di House of the Dragon, lo spin-off
de Il Trono di Spade, che ci racconta
una piccola parte della storia di Westeros durante uno dei tanti periodi burrascosi della dinastia Targaryen. La storia è ambientata 180 anni prima
della nascita di Daenerys “nata dalla tempesta”, “prima del suo nome” e tutte
quelle cose lì che, insomma, abbiamo imparato tipo mantra in dieci anni di
militanza televisiva con la serie tratta dalla saga di romanzi di George R. R.
Martin.
Nel racconto degli ultimi anni di regno di Viserys Targaryen e della complicata gestione della sua successione, tra le ambizioni del fratello Daemon (Matt Smith) e le macchinazioni del primo cavaliere Otto Hightower (Rhys Ifans), e i desideri sopiti dei “cugini” di casa Velaryon, House of the Dragon decide di far emergere il confronto che sarà al centro della vera e propria danza dei draghi, ovvero quello tra Rhaenyra (che nella sua versione adulta viene interpretata da Emma Darcy) e Alicent Hightower (prima Emily Carey e poi Olivia Cooke).
Anche le scene più truci che coinvolgono maggiormente lo spettatore sono assolutamente ben fatte, ne sono testimonianza i combattimenti con le spade, i tornei a cavallo e ovviamente le scene di volo sui draghi.
Tuttavia ad un
certo punto, ed è curioso che sia sempre durante un matrimonio, nella migliore
tradizione delle soap opera e anche de Il
trono di spade, House of the Dragon
sembra scrollarsi di dosso tutto questo per scegliere la sua strada: le scene
di guerra vengono meno e si inizia davvero a raccontare una storia interessante e
appassionante.
Curiosamente,
nel momento in cui fa pace con il passato, House
of the Dragon inizia a mettere in scena una versione radicale e marziale
del gioco del trono, con una connotazione tragica, fatale e drammatica, che
trasforma il Risiko fantasy in un’epopea che ha il sapore di rappresentazione
shakespeariana su famiglia, amore e desiderio come dinamiche di potere
e questioni ideologiche, e ovviamente draghi di ogni dimensione che sputano
fiamme (che comunque hanno sempre il loro perché).
Sono gli
sguardi, le voci e i gesti di un cast eccellente a reggere il
gioco del trono, e a metterlo in scena in maniera emotivamente efficace,
dipingendo ogni personaggio attraverso le sue contraddizioni: il dolore del
gentile e al contempo tragico Paddy Considine nei panni di Viserys Targaryen,
la fatale e a suo modo saggia austerità di Emma D'Arcy che dà vita a Rhaenyra,
l’accondiscendenza spinosa e tormentata dell’Alicent Hightower di Olivia Cooke,
o l’affascinante e ondivaga follia di Matt Smith e del suo Daemon… la lista è
davvero lunga!
Ogni
personaggio è una carta a doppia faccia, attraente e respingente, e una volta
risolti tutti i problemi di linee temporali e sciolta la didascalica
costruzione delle origini del conflitto, ognuno di essi diventa un dispositivo
narrativo efficiente in mano a una sceneggiatura che il più delle volte
funziona.
E la notizia
migliore è proprio il modo in cui House
of the Dragon si dirige verso uno scioglimento degno dello schema classico
de Il Trono di Spade.
La prima stagione di House of the Dragon è davvero un drago
difficile da domare: svolazza sorniona, volteggia in aria e solo alla fine
sprigiona tutta la sua potenza.
Proprio come
gli ultimi anni del regno di Viserys Targaryen, esso è fatto di anime
contrastanti ed è oppresso da lunghe ombre proiettate e dal passato e dal
futuro.
Nonostante i
problemi di ritmo, qualche alto e basso nella messa in scena e una fase
iniziale eccessivamente diluita e moraleggiante, la seconda parte della
stagione reinventa a suo modo il gioco del trono; infatti ci consegna una tragedia shakespeariana efficace e coinvolgente, soprattutto per merito di un ottimo
cast, scelto e diretto in maniera sapiente, che dà corpo a una rosa di
personaggi interessanti nelle loro storture e ambiguità. Sono i nuovi attori a caricarsi
sulle spalle l’epopea ambientata sulla terra e sulle coste di Westeros e a
preparare il terreno, i cieli, e i mari a quella che, a questo punto, potrebbe
essere una seconda stagione in cui esprimere tutto il potenziale della danza dei draghi.
Il mio voto è 9 su 10
Come sempre,
spero che la recensione vi abbia incuriosito e vi lascio il trailer:
https://youtu.be/qJ5CbR8kbyo
p.s per quanto sia irrealizzabile, vorrei anche io un drago su
cui volare libera! :(
Alla prossima recensione!
KATIA BINELLI – 5^A LSU
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