Voi conoscete la storia di Galatea?
Il mito di Pigmalione, racconta
di come Pigmalione si innamorò perdutamente della scultura che creò con le sue
mani, a tal punto da sentire il disperato bisogno di chiedere alla dea Afrodite
di tramutare in vita la pietra, così che il suo creatore potesse averla in
sposa.
Nella rivisitazione della Miller, Galatea è una statua che il soffio della vita ha reso umana. Fredda come la pietra che era, il suo cuore batte tra le mura di una stanza di quello che sembrerebbe un ospedale. I medici la credono pazza quando afferma di essere fatta di pietra e la zittiscono con degli intrugli caldi che credono la facciano rinsavire, ma in realtà le tolgono le forze ora dopo ora. Suo marito, il suo creatore, viene a trovarla ogni giorno essenzialmente per una sola ragione: sfogare il suo desiderio sessuale. Il gioco inizia sempre nello stesso modo: quando lui entra nella stanza lei finge di essere ancora una statua, e quando lui prega che lei diventi una donna in carne e ossa, lei apre gli occhi e lui si prende il suo corpo. Un uomo freddo, distaccato, che non accetta che nel momento in cui Galatea ha preso vita ha acquistato anche la capacità di parlare, e soprattutto ciò che più lo infastidisce: la libertà che le permette di sfuggire al suo controllo, alla sua oscura e gelida possessione.
Pur essendo in origine una
statua, l’unico ad avere un cuore di pietra è il marito, incapace di un
qualsiasi atto d’amore, un uomo che ha costruito la sua esistenza su delle
fondamenta di egoismo.
“La sola cosa difficile sono le dita, cui mio marito ama dire di aver dedicato un anno intero per farle apparire reali invece che immobili e inerti, come l’opera di certi scultori indolenti. Quindi devo concentrarmi e tenerle proprio come piace a lui, se no si rovina tutto.”
Madeline Miller non ha bisogno di presentazioni, perché ormai è un’autrice di bestseller conosciuta in tutto il mondo. Ho amato i primi due suoi libri ovvero: ‘La canzone di Achille’ e ‘Circe’ e mi sono già innamorata di ‘Galatea’. È una storia, ma assomiglia a una leggenda tramandata oralmente di generazione in generazione; è una poesia, di cui però non abbiamo né versi né rime baciate: una metrica assente, eppure sempre poesia.
Ciò che più mi ha colpito di
questa lunga poesia sussurrata è la dualità della sua natura: fragile eppure
così forte, come un diamante racchiuso nei petali di un narciso.
La complessità umana, e
soprattutto la difficoltà dell’essere donna, viene indagata con una delicatezza
disarmante, che sfocia in un sentimento di amara tristezza.
Il linguaggio utilizzato è
dolce e affabile quando dialoga con il marito, ruvido e pieno di rabbia quando
racconta la verità a se stessa:
“Il punto è che mio marito non si aspettava che parlassi, credo.
Non lo biasimo affatto per questo, dato che mi aveva conosciuta solo come
statua, pura e bella e arrendevole alla sua arte. Naturalmente, quando mi
bramava viva era quello il suo desiderio, ma più che viva mi voleva tiepida, quel
tanto che bastava per potermi scopare.”
Galatea, riesce a interrogarsi sul nostro presente, denunciando le ingiustizie e i temi che ogni giorno ci indignano, e lo fa attraverso un mito antico, distante quasi duemila anni da noi, eppure così attuale. Un dialogo del passato con il presente e il futuro, una voce femminile che emerge in tutta la sua forza e potenza, senza mai perdere la delicatezza e la bellezza che la caratterizzano, sin da quando altro non era che una statua di marmo perfetto.
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