domenica 1 maggio 2022

PRIMO PREMIO RACCONTI BREVI di ZOE ZALTIERI CASTELLANA 2ALS: FORTUNATA CONTRO GLI STEREOTIPI

 

FORTUNATA CONTRO GLI STEREOTIPI

In un bel giorno di primavera mamma zebra iniziò ad avvertire i dolori del parto. Sapeva cosa stava per succedere perché quello che stava per nascere non era il suo primo cucciolo, perciò, paziente, attese l'arrivo del suo piccolo. E voilà, in men che non si dica il piccino piombò sul prato, lasciando mamma zebra senza parole: lo guardò, lo riguardò, strabuzzò gli occhi e gli diede una leccatina, lo osservò con cura e vide che era una femminuccia ma … e qui stava la cosa strana, il suo manto era alquanto inconsueto. La leccò vigorosamente, cercando di cancellare le macchie che inzaccheravano il suo pelo, ma non ci fu niente da fare. La piccola non aveva il classico ed elegante manto a strisce che caratterizza le zebre, ma una strana livrea a chiazze che ricordava moltissimo quella delle giraffe. Mamma zebra era sconvolta, quella piccina era deliziosa con le sue belle macchie giallo-arancio ma non c'entrava nulla con il resto del branco e sapeva bene che la sua vita non sarebbe stata facile, perciò la chiamò Fortunata, per augurarle il meglio anche se in cuor suo temeva il peggio. Fortunata, ignara della sua diversità, correva felice nella savana, rincorreva le sue compagne, convinta che acchiapparella fosse un bellissimo gioco, peccato che le altre piccole zebre non stessero affatto giocando ma scappando da lei, dalla sua diversità, dalla sua maculata livrea; non importava che lei fosse una zebra, che ragliasse, galoppasse o brucasse esattamente come loro; quelle macchie riuscivano a cancellare tutto il resto.

Fortunata cresceva e crescendo cominciò ad accorgersi che qualcosa non andava, perse il suo buon umore e iniziò persino a dubitare di se stessa. Non sapeva più se credere a ciò che sentiva dentro di sé, a quella vocina che gli sussurrava ogni giorno quanto si sentisse profondamente appartenente al branco o credere a quelle altre voci, fuori dalla sua mente, che la schernivano, la ingiuriavano e le dicevano di andarsene lontano da loro.

Fortunata, una mattina assolata, decise di andare a cercare lontano la sua identità, perché se non la trovava dentro di sé da qualche parte l'avrebbe comunque trovata. Salutò sua madre e, a testa bassa, si allontanò verso est, dove sorge il sole. Camminò per qualche ora e si imbatté in un branco di giraffe. Le macchie simili alle sue la rincuorarono: brucavano, galoppavano, proprio come lei; certo erano più alte e slanciate ma tutto sommato valeva la pena tentare un approccio. Dapprima le giraffe la ignorarono, il suo manto simile al loro le rassicurava, non ravvisarono in lei un pericolo e la lasciarono pascolare con loro. Fortunata raccontò ad esse la sua storia e queste compassionevolmente la ascoltarono, la accolsero con bonomia ma… c’era un ma: i giorni passavano e la piccola zebra si accorse che qualcosa non andava, la compativano, la ritenevano uno scherzo della natura e soprattutto non la volevano, bensì la sopportavano. Decise di chiedere spiegazioni al capo branco che, senza reticenze, confermò i suoi dubbi

«Non hai le nostre sembianze, sei tozza e hai una voce sgradevole. Se vuoi puoi restare ma non pretendere di essere amata» le disse la vecchia giraffa dal lungo collo elegante.

La povera Fortunata educatamente salutò e riprese il suo cammino. Mentre brucava lentamente i fili d'erba fresca, umidi di pioggia, vide in lontananza un enorme branco di gnu: grossi e scuri si muovevano come un'onda sulla prateria. La piccola zebra maculata ebbe un'idea, in mezzo a quella moltitudine nessuno avrebbe fatto caso a lei, bastava solo qualche accorgimento: si rotolò con cura in una pozza di fango e ne uscì tutta nera. Si fermò poi al sole ad asciugare e si guardò le zampe e i fianchi: erano perfetti, il colore grigio scuro del fango aveva coperto le sue belle macchie. Trotterellando allegra si diresse verso gli gnu; certo rinnegare la sua zebritudine le pesava ma in fondo occorre sopravvivere e lei non ne poteva più di vivere sola e reietta nella savana assolata. Gli gnu guardarono verso di lei, muovendo all'unisono i mille testoni allungati, in quello che Fortunata interpretò come un muto assenso. Preso coraggio, iniziò a galoppare verso la sua nuova famiglia: finalmente non sarebbe più stata sola ad affrontare pericoli e stenti. Ben presto si trovò muso a muso con il fronte del branco, chinò la testa un paio di volte, in segno di sottomissione, e attese con ansia le parole del capo che non tardarono ad arrivare.

«Chi sei? Cosa vuoi?»

I toni erano neutri e non aggressivi, così la zebra travestita da gnu si presentò, chiedendo di potersi unire alla mandria. Il grande gnu la squadrò da capo a piedi e poi diede il suo consenso.

«Come mai non hai le corna?»

Fortunata lì per lì non seppe cosa rispondere e, frugando freneticamente nella sua mente, alla ricerca di una scusa plausibile, buttò là quella che le sembrava la più credibile e cioè che, data la sua giovane età, le corna non le erano ancora spuntate, ma che sentiva un gran prurito sul capo e sicuramente, presto, avrebbero fatto capolino anche sulla sua testa un bel paio di corna. Il branco le credette e Fortunata venne accolta tra le fila degli gnu. Il grande capo la prese a benvolere e spesso si fermava a parlare con lei; la scrutava però con occhio inquisitore e la zebra in incognito temeva che avesse capito qualcosa. Una notte scoppiò un forte temporale, tuoni e fulmini squarciano il cielo d'Africa e una pioggia torrenziale cadde sul branco a portare refrigerio e la speranza di nuovi pascoli. Fortunata, stretta tra i mille corpi scuri degli gnu, si sentiva al sicuro e felice per la prima volta nella sua vita. Al mattino una grande sorpresa accolse il branco: tra loro lucido, splendente e sfacciatamente giallo-arancio se ne stava uno strano personaggio. Gli gnu, a bocca aperta, guardarono l'intruso e poi presero a battere gli zoccoli con fare minaccioso. Fortunata era stata smascherata: la pioggia aveva lavato il fango di cui si era ricoperta per fingersi gnu ed ora, imbarazzata e disperata, non sapeva più che dire o fare. Ragliò forte, un grido disperato in cui era racchiuso tutto il suo dolore e la sua rabbia.

«Sono io, sono Fortunata, non sono gnu, non sono una giraffa e forse neppure una zebra, chi sono? Qualcuno mi aiuti a capire chi sono!»

Il grande capo, solennemente, le si avvicinò e con voce tenera le disse.

«Tu sei tu e tanto basta. Sei dolce, gentile e rispettosa. Chi si ferma alle tue macchie e non vede questo, sbaglia. Non importa se non hai le strisce, il collo lungo o le corna, hai un cuore grande e un bel cervello. Sii te stessa sempre e fai che la tua esperienza ti dia la forza di portare questo messaggio al mondo: amiamo gli altri perché non sono che il riflesso di noi stessi; in ognuno di loro c’è qualcosa che li accomuna a noi e questo basta per vivere in pace. Vai Fortunata, corri nella savana con questa certezza e vedrai che starai meglio.»

Da quel giorno la piccola zebra a macchie fu felice, perché prima che lo facessero gli altri era riuscita ad accettare se stessa, nonostante la sua diversità.

 


ZOE ZALTIERI CASTELLANA, 1ALSU MATTEI


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