FORTUNATA CONTRO GLI STEREOTIPI
In un bel giorno di primavera mamma zebra iniziò ad avvertire i dolori del parto. Sapeva cosa stava per succedere perché quello che stava per nascere non era il suo primo cucciolo, perciò, paziente, attese l'arrivo del suo piccolo. E voilà, in men che non si dica il piccino piombò sul prato, lasciando mamma zebra senza parole: lo guardò, lo riguardò, strabuzzò gli occhi e gli diede una leccatina, lo osservò con cura e vide che era una femminuccia ma … e qui stava la cosa strana, il suo manto era alquanto inconsueto. La leccò vigorosamente, cercando di cancellare le macchie che inzaccheravano il suo pelo, ma non ci fu niente da fare. La piccola non aveva il classico ed elegante manto a strisce che caratterizza le zebre, ma una strana livrea a chiazze che ricordava moltissimo quella delle giraffe. Mamma zebra era sconvolta, quella piccina era deliziosa con le sue belle macchie giallo-arancio ma non c'entrava nulla con il resto del branco e sapeva bene che la sua vita non sarebbe stata facile, perciò la chiamò Fortunata, per augurarle il meglio anche se in cuor suo temeva il peggio. Fortunata, ignara della sua diversità, correva felice nella savana, rincorreva le sue compagne, convinta che acchiapparella fosse un bellissimo gioco, peccato che le altre piccole zebre non stessero affatto giocando ma scappando da lei, dalla sua diversità, dalla sua maculata livrea; non importava che lei fosse una zebra, che ragliasse, galoppasse o brucasse esattamente come loro; quelle macchie riuscivano a cancellare tutto il resto.
Fortunata cresceva e crescendo cominciò ad accorgersi
che qualcosa non andava, perse il suo buon umore e iniziò persino a dubitare di
se stessa. Non sapeva più se credere a ciò che sentiva dentro di sé, a quella
vocina che gli sussurrava ogni giorno quanto si sentisse profondamente
appartenente al branco o credere a quelle altre voci, fuori dalla sua mente,
che la schernivano, la ingiuriavano e le dicevano di andarsene lontano da loro.
Fortunata, una mattina assolata, decise di andare a
cercare lontano la sua identità, perché se non la trovava dentro di sé da
qualche parte l'avrebbe comunque trovata. Salutò sua madre e, a testa bassa, si
allontanò verso est, dove sorge il sole. Camminò per qualche ora e si imbatté
in un branco di giraffe. Le macchie simili alle sue la rincuorarono: brucavano,
galoppavano, proprio come lei; certo erano più alte e slanciate ma tutto
sommato valeva la pena tentare un approccio. Dapprima le giraffe la ignorarono,
il suo manto simile al loro le rassicurava, non ravvisarono in lei un pericolo
e la lasciarono pascolare con loro. Fortunata raccontò ad esse la sua storia e
queste compassionevolmente la ascoltarono, la accolsero con bonomia ma… c’era
un ma: i giorni passavano e la piccola zebra si accorse che qualcosa non
andava, la compativano, la ritenevano uno scherzo della natura e soprattutto
non la volevano, bensì la sopportavano. Decise di chiedere spiegazioni al capo
branco che, senza reticenze, confermò i suoi dubbi
«Non hai le nostre sembianze, sei tozza e hai una voce
sgradevole. Se vuoi puoi restare ma non pretendere di essere amata» le disse la
vecchia giraffa dal lungo collo elegante.
La povera Fortunata educatamente salutò e riprese il
suo cammino. Mentre brucava lentamente i fili d'erba fresca, umidi di pioggia,
vide in lontananza un enorme branco di gnu: grossi e scuri si muovevano come
un'onda sulla prateria. La piccola zebra maculata ebbe un'idea, in mezzo a
quella moltitudine nessuno avrebbe fatto caso a lei, bastava solo qualche accorgimento:
si rotolò con cura in una pozza di fango e ne uscì tutta nera. Si fermò poi al
sole ad asciugare e si guardò le zampe e i fianchi: erano perfetti, il colore
grigio scuro del fango aveva coperto le sue belle macchie. Trotterellando
allegra si diresse verso gli gnu; certo rinnegare la sua zebritudine le pesava
ma in fondo occorre sopravvivere e lei non ne poteva più di vivere sola e
reietta nella savana assolata. Gli gnu guardarono verso di lei, muovendo
all'unisono i mille testoni allungati, in quello che Fortunata interpretò come
un muto assenso. Preso coraggio, iniziò a galoppare verso la sua nuova
famiglia: finalmente non sarebbe più stata sola ad affrontare pericoli e
stenti. Ben presto si trovò muso a muso con il fronte del branco, chinò la
testa un paio di volte, in segno di sottomissione, e attese con ansia le parole
del capo che non tardarono ad arrivare.
«Chi sei? Cosa vuoi?»
I toni erano neutri e non aggressivi, così la zebra
travestita da gnu si presentò, chiedendo di potersi unire alla mandria. Il
grande gnu la squadrò da capo a piedi e poi diede il suo consenso.
«Come mai non hai le corna?»
Fortunata lì per lì non seppe cosa rispondere e,
frugando freneticamente nella sua mente, alla ricerca di una scusa plausibile,
buttò là quella che le sembrava la più credibile e cioè che, data la sua
giovane età, le corna non le erano ancora spuntate, ma che sentiva un gran
prurito sul capo e sicuramente, presto, avrebbero fatto capolino anche sulla
sua testa un bel paio di corna. Il branco le credette e Fortunata venne accolta
tra le fila degli gnu. Il grande capo la prese a benvolere e spesso si fermava
a parlare con lei; la scrutava però con occhio inquisitore e la zebra in
incognito temeva che avesse capito qualcosa. Una notte scoppiò un forte
temporale, tuoni e fulmini squarciano il cielo d'Africa e una pioggia
torrenziale cadde sul branco a portare refrigerio e la speranza di nuovi
pascoli. Fortunata, stretta tra i mille corpi scuri degli gnu, si sentiva al
sicuro e felice per la prima volta nella sua vita. Al mattino una grande
sorpresa accolse il branco: tra loro lucido, splendente e sfacciatamente
giallo-arancio se ne stava uno strano personaggio. Gli gnu, a bocca aperta,
guardarono l'intruso e poi presero a battere gli zoccoli con fare minaccioso.
Fortunata era stata smascherata: la pioggia aveva lavato il fango di cui si era
ricoperta per fingersi gnu ed ora, imbarazzata e disperata, non sapeva più che
dire o fare. Ragliò forte, un grido disperato in cui era racchiuso tutto il suo
dolore e la sua rabbia.
«Sono io, sono Fortunata, non sono gnu, non sono una
giraffa e forse neppure una zebra, chi sono? Qualcuno mi aiuti a capire chi
sono!»
Il grande capo, solennemente, le si avvicinò e con
voce tenera le disse.
«Tu sei tu e tanto basta. Sei dolce, gentile e
rispettosa. Chi si ferma alle tue macchie e non vede questo, sbaglia. Non
importa se non hai le strisce, il collo lungo o le corna, hai un cuore grande e
un bel cervello. Sii te stessa sempre e fai che la tua esperienza ti dia la
forza di portare questo messaggio al mondo: amiamo gli altri perché non sono
che il riflesso di noi stessi; in ognuno di loro c’è qualcosa che li accomuna a
noi e questo basta per vivere in pace. Vai Fortunata, corri nella savana con
questa certezza e vedrai che starai meglio.»
Da quel giorno la piccola zebra a macchie fu felice,
perché prima che lo facessero gli altri era riuscita ad accettare se stessa,
nonostante la sua diversità.
ZOE ZALTIERI CASTELLANA, 1ALSU MATTEI
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