CON GLI OCCHI DELL’ANIMA
Molto tempo fa, in un paese
lontano, viveva un mago avido ma molto ingegnoso, che costruiva per arricchirsi
oggetti incantati da vendere poi alle fiere dei paesini di campagna, per
intascare più soldi dalle persone ignoranti che non sapevano veramente cosa
fosse in grado di fare la magia. Un giorno lo stregone forgiò uno specchio
magico, in grado di rivelare, tramite il suo riflesso, l’aspetto più oscuro
dell’identità degli uomini, i loro difetti e i loro peccati.
Mentre si preparava a portarlo
al mercato per venderlo, gli cadde l’occhio sulla superficie dello specchio, e
vi vide riflesso un orribile mostro con molteplici braccia, ciascuna delle
quali reggeva delle monete d’oro, e non ci mise molto a capire che era l’incarnazione
della sua anima corrotta dall’avidità e votata al denaro. Preoccupato dal fatto
che nessuno avrebbe comprato lo specchio se fosse stato così accurato nel
rappresentare i lati oscuri delle persone, afferrò l’oggetto, lo frantumò in
mille pezzi e lo gettò in un lago vicino.
Poco tempo dopo, una donna
arrivò al lago con un secchio, sua sorella era incinta e non poteva prendere
l’acqua da sola. A sua insaputa raccolse una secchiata dell’acqua contenente le
schegge dello specchio, ciascuna delle quali manteneva il potere dell’artefatto
originale. La ragazza incinta bevve di quell’acqua, e pochi mesi dopo il bimbo
che nacque fu immediatamente oggetto di stupore e meraviglia. Infatti, il suo
occhio destro non era un organo normale, ma aveva un’iride violetta che mandava
strane scintille e bagliori. Il ragazzo mostrò fin dalla tenera infanzia di
avere una spiccata abilità di giudizio, e di saper sempre individuare il
colpevole quando avveniva un crimine; aveva infatti ereditato il potere dello
specchio di intravedere i peccati altrui, e lo sfruttò a suo vantaggio per
diventare uno stimato giudice. Il potere lo rese così freddo che cominciò a guardare
le persone solamente con lo sguardo magico e giudicarle tramite quello, senza
preoccuparsi di sentire perché avessero commesso i peccati che lui scorgeva o
se fossero pentite o meno. Era diventato cinico e aveva completamente
dimenticato cosa fossero il perdono e la compassione, accecato dal suo senso
estremo di giustizia. Non ricordava ormai più cosa volesse dire prendere la
mano dell’altro, sedersi a fianco del prossimo e riconoscersi uguali nel dolore
e nell’errore.
Un giorno però
improvvisamente, dopo un violento temporale, non ritornò mai più in tribunale o
a casa sua, ma si stabilì in una grotta su una montagna dopo essersi cavato
l’occhio viola con un pugnale e cominciò a dedicarsi all’insegnamento, vivendo
da eremita e disdegnando le ricchezze accumulate.
Un giovane viandante, sentita
questa assurda storia, decise di visitarlo, e una volta conclusa la scalata
dell’impervia rupe dove viveva l’ex giudice, gli chiese i motivi del suo improvviso
cambio di vita. L’uomo sorrise e iniziò a raccontare.
“Qualche tempo fa, ero
continuamente perseguitato da un demone. Mi appariva come un essere molto alto,
con la pelle bianca ricoperta di occhi e in volto le orbite vuote; dalle sue
mani colava sangue. Non mi faceva mai del male, ma mi indicava sempre in modo
accusatorio e mi sentivo la schiena scossa da brividi. Lo vedevo ovunque:
attraverso le finestre degli edifici mi puntava quel suo dito accusatorio, nei
canali mi attendeva per poi seguirmi passo passo e perfino dai bicchieri
d’acqua vedevo il suo inquietante viso. Circa un anno or sono, mi ero perso per
la città sotto un acquazzone ed ero braccato dal demone, era talmente veloce
che potevo evitare il suo inseguimento solo vedendolo nei riflessi delle
pozzanghere, ma man mano che acceleravo la mia fuga, lui era sempre più
incalzante, tanto che dallo spavento inciampai e caddi bocconi in mezzo al
fango.
Nel terrore alzai il volto, e
nella pozza davanti a me vidi il mostro, fermo ed inquietante come sempre.
Nella paura, avvolto solo dallo scroscio della pioggia battente, feci per
strofinarmi gli occhi e improvvisamente l’immagine sfarfallò. Perplesso,
riprovai a chiudere solo l’occhio magico, e la pozzanghera divenne vuota e
limpida. Colmo di una sensazione nuova, cominciai a piangere, capendo che il
demone ero io, il riflesso del mio peccato, colui che aveva svestito i panni
del giudice per diventare un carnefice illegittimo, uno che non era più capace
di riconoscere l’altro come un umano in grado sì di sbagliare, ma anche di
pentirsi e ricominciare. Ora io vivo qui, su questo monte, e cerco di insegnare
agli uomini che non mi credono ancora un folle ciò che io, che mi ritenevo il
più saggio tra gli uomini, ho appreso: non c’è bisogno che qualcuno si senta il
giudice dei peccati del mondo, perché nella sua interiorità anche lui è
imperfetto come tutti gli altri, come tutti gli umani. Ognuno di noi miseri
animali con un briciolo di acume in più rispetto alle altre bestie deve capire
che non c’è il superiore o l’inferiore, il puro e il peccatore, siamo tutti
uguali davanti al mondo, e se perderemo un giorno l’obbligo morale di tentare
di mettersi nei panni degli altri e provare empatia per loro, indipendentemente
dalla loro condotta, allora saremo diventati freddi e aridi, e non ci sarà
nessuno su questa Terra che si sentirà amato”.
EDORARDO DEVOTI, 2ALS MATTEI
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