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CAMILLA PARABOSCHI |
(vincitrice primo premio della
sezione racconti brevi)
Mi
sento stanca, ho le gambe che mi tremano, le braccia fanno fatica a ricevere il
mattone successivo, sento solo la fame che avanza, l’alternarsi del dì e della
notte, gli occhi non riescono più a stare aperti e persino i miei pensieri sono
diventati pesanti. Con grande fatica ricevo un altro mattone dal mio compagno.
Per
un attimo la stanchezza sparisce, anche con il mattone sulle braccia, perché mi
fermo a osservarla: è una ragazzina di circa 10 anni, definirla magra è farle
un complimento, tanto è pelle e ossa. So come ci si sente, ci siamo passati
tutti, lei qui è la più giovane, la più debole quindi la più torturata. Tutti
abbiamo i suoi occhi addosso, ma il più piccolo va “educato”. La frusta sulla
schiena mi fa tornare alla realtà; mi guardo intorno e noto che tutti mi stanno
fissando. Le loro espressioni sono diverse le une dalle altre: alcune di paura,
altre di timore, rabbia, poi c’è chi ha sguardi di preghiera per avere due
secondi per riposare. Faccio passare il mio mattone e prendo subito quello successivo
decisa a non commettere nessun altro errore.
Facendo
piccoli passi cerco di spostarmi verso quella bambina per riuscire a guardarla
seriamente: vorrei parlarle. Pensandoci, però, nessuno è mai riuscito a
comunicare con il proprio vicino, neanche quando c’era il cambio della guardia,
anche se mi sembra molto strano. Inizio a spostarmi facendo piccoli passi laterali,
sembrando un piccolo gambero.
Ahia!!!!
Urlo nella mia mente. Una lacrima scende dai miei occhi e mi bagna tutta la
guancia e poi cade sulla sabbia lasciando un piccolo segno perfettamente
rotondo. E poi sento uno strillo, spero di non essere stata io, spero che sia
solo nella mia testa. Non voglio essere portata davanti ai suoi occhi, dicono
che chi lo vede poi non torna. Chissà che espressione ha.
Tutti
speriamo che questa piramide, apparentemente infinita, finisca velocemente, ma
una volta finita cosa faccio? Nessuno mi paga, lavoro per guadagnarmi la libertà
e i soldi per il mangiare giorno per giorno; se finisco di lavorare morirò di fame.
Io mi chiedo come ci sia finita qua, come mai sono qua? Sembra un incubo. La
cosa peggiore è che non mi ricordo più di quando ero piccola, ho solo dei
frammenti di momenti e questo mi dispiace. Mi ricordo di essere stata felice e
sorridente in una bellissima casa, per quanto fosse piccola e modesta, ma
soprattutto non ero sola, mentre adesso sì.
Sono
passate quattro settimane e sono ancora allo stesso punto di prima, la bambina
di 10 anni è stata via per un po’, poi però ieri è tornata. Come mai? La vedo più matura e leggermente più triste
come se un po’ della sua spensieratezza fosse scomparsa. Ecco cosa fa magari ti
ruba un po’ di spensieratezza, anche se non credo sia davvero questo. Credevo
fosse morta perché in questo periodo moltissimi ci hanno lasciato: il cibo
inizia a scarseggiare: questo è giusto? Perché loro muoiono e io no? perché
loro non hanno il cibo, mentre io sì? Loro lavorano esattamente come me, se non
di più. Io mi ritengo fortunata di non dover fare due scalini per prendere il
mattone e depositarlo al posto giusto nella piramide. Quel lavoro non fa proprio
per me, ma so che prima o poi toccherà anche a me.
Io
vorrei condividere un po’ di cibo con loro, ma già ne ho poco per me e in più
non riesco ad arrivare fino a là: mi frustano appena faccio due passi, immaginiamoci
se dovessi percorrere tutti i mille gradini. Potrei provare a fare un passa cibo,
come se fosse un passaparola, ma non credo che il cibo arrivi a destinazione:
del resto anche le parole muoiono tutte in gola. In queste situazioni, come ho
già visto in più di un’occasione, l’essere umano diventa egoista. Non è giusto
dire che sbagliano perché ognuno ha una propria idea e purtroppo in situazioni
difficili ad alcuni viene istintivo pensare prima a sé stessi. Io credo
soltanto che in certe situazioni serva l’aiuto di qualcun altro e nessuno deve
pensare di fregare chi ha difronte.
Purtroppo
non ci sono solo morti per la fame; alcuni si sono ammalati e li hanno portati
in una specie di infermeria, nella quale nessuno ci può entrare. Appena
iniziano a stare meglio vengono riportati al loro posto. Magari solo perché il
clima che si sta scaldando e i nostri corpi si devono abituare? Spero sia
questo.
Questo
inverno mi ha lasciato tantissime cicatrici più degli altri anni, sento ancora
i profondi tagli, ho ancora i brividi, alcune volte persino vedo la neve oppure
me la immagino. Io sentivo la neve come una carezza perché ci proteggeva dalle
fruste e quando calava sul nostro corpo ci avvolgeva come una soffice coperta.
Forse io la febbre la prenderò più avanti quando inizierà ad esserci troppo caldo.
Perché io non mi sono ammalata e gli altri sì?
Mentre
continuo a riflettere rimango sorpresa perché il mio vicino, quello a destra si
è fermato, non ha più intenzione di prendere i mattoni, si è sdraiato e fissa
il cielo. Nessuna guardia l’ha frustato, ma gli hanno semplicemente detto di
riprendere il proprio posto di lavoro. Come mai se io mi fermo mi arriva una
frustata, mentre se lui si ferma non gli succede niente? Cos’ha di diverso lui
da me. In questo modo creano troppa ingiustizia, non c’è parità nei
trattamenti. Perché nessuno si ribella, perché io non mi ribello? La motivazione
è che si ha paura. Ma è giusto avere paura? È giusto farsi andare bene tutto e
prenderlo così come viene? È giusto per me stessa e per gli altri? No, e allora
perché nessuno dice niente? Non vorrebbero tutti fuggire e essere liberi? Io mi sono stancata di farmi andare bene
tutto, sono stanca di non dire la mia opinione e di fare tutto ciò che mi
dicono senza battere ciglio. Penso a cosa potrei fare per ribellarmi: uno sciopero
della fame, ma ci rimetterei solo io, oppure uno sciopero del lavoro. Ecco cosa
farò. Però questa protesta dovrà essere pensata e ragionata, altrimenti non
avrà effetto.
Sono
passati mesi da quando ho avuto quell’idea; ogni giorno ho pensato come fare
per ottenere ciò che volevo e come farlo. Un piano perfetto che attuerò in
questi giorni. Spero che gli altri capiscano, una protesta singola viene
considerata molto poco. Chissà se gli altri hanno il coraggio di farsi valere e
capire davvero cosa è importante.
È
arrivato quel giorno, ho molta ansia per le conseguenze, ho ansia di sbagliare
qualcosa ed essere sola, ho tanta paura. Forse però essere consapevole delle
proprie insicurezze aiuta. Le gambe mi tremano, ma è un tremare diverso dal
solito. La mia schiena è già pronta alle frustate. Capisco che è il momento
giusto e attuo la mia ribellione. Lascio cadere il mattone che avevo in mano e
uguale con il secondo e con il terzo e via dicendo. Quando vedo che questa
torretta è abbastanza alta ci salgo sopra, trascurando tutto ciò che avevo
attorno a me, e inizio ad urlare tutto ciò che pensavo, tutte le ingiustizie
subite, tutte le cose che vorrei, tutto ciò che farei. Grido, piango, rido, ma
rimango in piedi convinta di quello che sto facendo. Io sto lottando, lotto per
me e per tutti quelli che non ne sono in grado o sono codardi. Lotto per avere
un mondo migliore, in cui ognuno possa sentirsi accettato e uguale agli altri,
in cui ognuno è libero di dire la propria opinione rispettando la libertà
dell’altro, in cui tutti stiano bene e abbiano le stesse possibilità di cura,
in cui ognuno si senta sé stesso senza essere giudicato ed etichettato. Un
mondo onesto dove non esistono le frodi e le fregature, dove non c’è il più
forte e dove non c’è il più debole, dove non ci sono vinti e vincitori, dove
non ci sono marionette che sono comandate dai suoi occhi. I sui occhi… mi fanno
ancora paura, ma mentre urlo mi sento sempre più forte, sicura: lo voglio
vedere, qui, davanti a tutti.
Inizio
a rendermi conto che non sono l’unica a protestare, alcuni si sono alzati,
altri invece continuano a mantenere con ordine il proprio posto di lavoro. La
bambina è stata la prima ad alzarsi e a ribellarsi con me. Alcune guardie,
forse colpite dal mio discorso hanno smesso di punire e si sono unite allo sciopero.
Il mio cuore non ha mai battuto così forte, mi sta uscendo dal petto.
Solo
in pochi non si sono uniti, è arrivato il momento di acclamare quel signorotto
che è nel suo palazzo agiato, non si troverà nessuno che si inchina, nessuno
che segue i suoi ordini. Dovrà scendere a un compromesso se vuole la sua
piramide finita. Alla fine non chiediamo la luna, non chiediamo un'altra
galassia, chiediamo cose molto semplici: libertà ed uguaglianza. Alla fine è l’uomo
che ha creato le disuguaglianze, le offese, le disparità. Noi vorremmo l’uomo
intelligente e che sappia usufruire di tutta la materia grigia che possiede. È
l’uomo il “cattivo” da combattere e cambiare che ha inventato la parola
schiavo; che se noi la pensiamo come sigla è la perfetta descrizione di un uomo
e un mondo perfetto.
S=
sincerità, serenità, serietà
C=cooperazione,
conforto, coerenza, cordialità, correttezza
H=
harmless
I=impegno,
indulgenza, imparzialità, ispirazione, Incorruttibilità
A= altruismo,
amore, affidabilità, allegria, aiutare
V=
valore, verità, varietà, volontà, virtù
0=
onestà, operosità, oculatezza, ottimismo, onore
Alla
fine noi siamo ancora schiavi e l’unico modo per cambiare è quello di
protestare usando la ragione.
Il
mondo che io vorrei è un mondo semi perfetto, perché per quanto bella è la perfezione
dopo un po’ stanca, ma allo stesso tempo vorrei un mondo meno superficiale e
più empatico.