Il quesito che si pone lo storico nel suo saggio è più
che lecito. È corretto chiedersi delle proprie origini sopratutto per capire
dove andremo a finire. Anticamente certi lussi potevano permetterseli solo
un’elite della società, le stesse cose erano desiderio anche delle classi
lavoratrici, ma questi avevano già la certezza di non poterle possedere. Poi,
sicuramente dopo la rivoluzione industriale, con il passaggio dalle campagne
alla città, dopo l’inizio del “sogno americano”, con l’avvento della tecnica e
quant’altro, anche le persone meno abbienti hanno potuto cominciare a
concedersi certi sfizi di cui prima non potevano usufruire. Di conseguenza
l’interiorità dell’uomo è mutata, non pensa all’essenziale ma al sovrappiù. La
società del consumo ci fa sentire delle divinità che hanno la possibilità di
fare e comprare ossessivamente tutto ciò che vogliamo. Ma è realmente ciò di cui
abbiamo bisogno? Di certo ricercare la nostra interiorità e il nostro essere
più vero non sarebbe poi tanto sbagliato. Agli occhi del mondo lo sarebbe, ma
non certo per i nostri. Un tempo l’uomo
rifletteva il suo futuro, le sue speranze e le sue richieste nella divinità.
Oggi le divinità, più che essere l’uomo e Dio, sono due: il denaro e la
tecnica. La prima, come già detto ha il potere di poter possedere tutte le cose
materiali che vogliamo, la seconda invece è molto più complessa. La tecnica è
stata una grande invenzione dell’uomo che indubbiamente ha portato molto
benessere e comodità che prima del suo avvento erano impensabili. Essa però
sembra essere senza inibizioni, il che dovrebbe spaventarci perché prima o poi
potremmo perdere il controllo e rimanere schiacciati da ciò che abbiamo creato.
La tecnica è una nuova divinità perché dà tutto e non chiede nulla in cambio, è
senza limiti ed è instancabile il che ci fa credere o sperare di essere come
dèi, ma quando poi arriva la malattia o la morte, non c’è tecnica che tenga e
bisogna accettare il divenire. L’uomo di oggi è chiaro non è più quello di
prima, non che prima fosse molto meglio sia chiaro, quando si dice che una
volta c’era più solidarietà e la gente si voleva più bene, basti pensare alle due
guerre del novecento e finisce subito la poesia. Il problema è che l’uomo ha sete di potere
per sentirsi superiore agli altri. Questo ha portato a tante disgrazie
dell’attualità, o che l’attualità ha solo portato a galla ma che ci sono sempre
state. Penso alle violenze in famiglia, in cui l’uomo deve avere il controllo completo
sulla vita della donna (che evidentemente non ha saputo vedere subito la
crudeltà, spesso ben mascherata dell’altro). Penso alle guerre, che per quante comprensibili
ragioni possano avere, alla fine, a rimetterci è solo la povera gente che di
colpa non ne ha. L’uomo del domani è inimmaginabile ma prevedibile, oggi il
mondo cambia in cinque minuti, o noi potremmo morire in cinque minuti … e cosa
rimarrà di noi? Probabilmente un mucchio di ossa e qualche grana di eredità da lasciare
a figli e nipoti. Possiamo solo avere la certezza del passato che ci insegna
che l’uomo non cambia mai, ha sempre gli stessi difetti che lo
contraddistinguono dagli animali con cui ha solo una cosa in comune: lo spirito
di sopravvivenza.
MARCO CERIATI