martedì 31 dicembre 2024

La storia di Souleymane al cinema!


Martedì 10 dicembre,  in occasione dell’assemblea d’istituto, il triennio dell’Istituto Mattei si è recato al cinema Capitol per la visione del film “La storia diSouleymane” del regista francese Boris Lojkine.
Il film, uscito nelle sale cinematografiche nell’ultimo anno e premiato al Festival di Cannes, porta
lo spettatore a seguire il protagonista Souleymane durante le sue giornate. Il giovane è emigrato
dalla Guinea in Francia, Paese dove aspetta il colloquio per ricevere il permesso di soggiorno in una
tremenda attesa di qualcosa che non arriva e che forse non arriverà mai. Nel frattempo che si
avvicina il momento di questo fatidico incontro, la narrazione segue il ragazzo sfrecciare per le vie
di Parigi in sella alla sua bicicletta come rider, grazie al subaffitto del profilo di un app specifica, di un suo connazionale.. A Souleymane, infatti, non è permesso lavorare regolarmente e dunque per guadagnarsi qualche spicciolo è costretto a lavorare nell’illegalità per tutta la giornata prima di tornare al dormitorio statale, situazione abitativa precaria a cui sono costrette tantissime persone nella sua stessa vacillante condizione.
Con empatia, il proposito del film è quello di calarsi nella realtà sociale di chi vive questa situazione
dal particolare, ossia la storia individuale di Souleymane, al generale, ritraendo tutti gli altri
immigrati che, come il giovane, vivono in balia della burocrazia e di funzionari che ascolteranno il
racconto del loro passato, di ciò che li ha spinti a scappare dal proprio Paese di origine e
decreteranno infine il loro destino. Questione emblematica rappresentata nella pellicola è anche la
preparazione della storia falsa che queste persone sono spinte a raccontare, da veri e propri truffatori che si spacciano per mentori, a esporre alla maniera scolastica per convincere gli esaminatori a concedere l’agognato permesso di soggiorno. 
 Queste rievocazioni sono uguali per tutti perché architettate nei minimi dettagli dalla stessa persona e la funzionaria, che ormai conosce a memoria le peripezie raccontate, dà la possibilità a Souleymane di esporre veramente il suo vissuto: da qui la riflessione sull’autenticità, più elevata e profonda dell’omologazione.
La pellicola denuncia anche le condizioni dei rider, sfruttati dagli esercizi commerciali e dai clienti:
emblematica è la scena della consegna ad una donna che non accetta il pacco, perché la confezione
esterna era rovinata, senza controllare se effettivamente il prodotto fosse ancora intatto o no. La
signora in questione non si ferma un attimo a pensare a chi ha davanti e alle difficoltà a cui
Souleymane si è trovato di fronte per fare la consegna. Quella dei rider è indubbiamente, anche in
Italia, una forma di sfruttamento legalizzato, a cui tante persone aderiscono non trovando lavori
migliori. Sono realtà poco pubblicizzate perché comode per la società borghese, sempre più
impigrita, e per chi le gestisce che ne trae enorme guadagno. Non sono invece ottimali per chi deve
svolgere questa attività in quanto la retribuzione è bassa, il singolo deve provvedere lui stesso al
mezzo e gli spostamenti, come si vede anche nel film, sono tutt’altro che sicuri, acuiti anche dai
ritmi di consegna che i rider devono tenere.
Ciò che viene rappresentata, soprattutto, è l’attesa interiore che vive il ragazzo, la quale si
contrappone alla notevole frenesia della vita a cui è costretto. È lo stesso stato di suspanse in cui
viene lasciato lo spettatore alla fine del film quando, al termine del colloquio, non viene rivelato se
effettivamente il protagonista ha ricevuto il permesso, in quanto si conclude con un «le faremo
sapere». La scena, come il film tutto, fa sgorgare un sentimento di ansia che consuma interiormente
il protagonista come gli spettatori, i quali vi si immedesimano. Da tutto ciò emerge come l’esistenza di
Souleymane, dall’inizio alla fine, è sospesa in un limbo che lo porta a «un atroce senso di
esclusione» (da Gli occhiali d’oro di Giorgio Bassani) dalla società, a non sentirsi radicato in un
luogo lontano dalla sua patria, dove non è nessuno e non si sa se avrà la possibilità di integrarsi e
vivere una vita migliore. I sentimenti sono quelli esposti nella poesia" In memoria" di Giuseppe
Ungaretti, dove viene ricordato l’amico egiziano Moammed Sceab m orto suicida a Parigi nel 1913
«perché non aveva più/ patria» «e non sapeva più/ vivere/ nella tenda dei suoi» ma allo stesso
tempo non si sentiva radicato in Francia «e non sapeva/ sciogliere/ il canto/ del suo abbandono»,
dunque non ha trovato, a differenza del poeta, un appiglio che lo facesse sopravvivere al dramma
intimo che viveva.
Paola Bravo 5B LS




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