La globalizzazione è il fenomeno
che vediamo oggi tutti i giorni senza rendercene pienamente conto: la catena di
fast-food più conosciuta e con numerosissime sedi in tutto il mondo: Mc Donald’s è frutto della globalizzazione,
Market place online che semplificano gli acquisti prodotti da tutte le part del
mondo come Amazon; Ebay sono frutto della globalizzazione; Netflix che opera in
oltre 190 paesi è frutto della globalizzazione, ma anche semplicemente il logo
della Nike che lo rende riconoscibile ovunque è frutto della globalizzazione.
Ma che cos’è questa
“globalizzazione”?
Si tratta di un fenomeno che
abbiamo iniziato a vedere a grandi linee in seguito alla terza rivoluzione
industriale successivamente in seguito del boom economico degli anni ’60, ma
più riconoscibile e databile dagli anni ’90 in poi. Tramite lo sviluppo
economico dei Paesi Occidentali è aumentata anche la rete di comunicazione, in
particolare con i commerci esteri si sono creati dei veri e propri ponti di comunicazione
e scambio di informazioni che pian piano si sono radicati, ad esempio con il
fenomeno della delocalizzazione in cui Paesi europei preferivano produrre in
paesi dove il costo di produzione era decisamente inferiore. Non si tratta solo
di produrre in altri paesi, ma apprenderne anche la cultura e le tradizioni. Infatti
nelle nostre tavole è normale mangiare piatti non italiani, ad esempio della cucina
messicana o anche giapponese. Come è anche normale trovare nel proprio armadio
capi di cui i tessuti sono provenienti dall’India.
Tutti questi punti a favore, come
la maggior apertura mentale e forse anche una maggiore tolleranza culturale
sembrerebbero essere di fondamentale importanza per la crescita felice alla
quale tutti – credo – aspiriamo.
Però, c’è sempre un però quando,
anche gli aspetti più marginali, possono avere un forte impatto a livello
globale.
Incredibile ma vero possiamo
definire la Globalizzazione come un colpo di Stato internazionale “silenzioso”,
ma decisamente non indolore: difatti ha prodotto un enorme trasferimento di
potere dai luoghi della politica, della statualità e della sovranità popolare
ai centri della potenza economico-finanziaria e alle loro principali agenzie
come Wto, Banca mondiale e le agenzie di rating. È come se si creassero piccoli
stati in grado di decidere individualmente ed esercitare il proprio potere
individualmente, una sorta di tante repubbliche di “San Marino” infiltrate nel
sistema mondiale, che però danneggiano non solo l’economia ma anche la
democrazia.
“La globalizzazione, intesa come
forma specifica in cui sono venuti ad organizzarsi gli Stati, i mercati e le
idee di commercio e governo, acuisce le condizioni in cui si manifesta la
violenza su larga scala tra la logica dell’incertezza e quella
dell’incompletezza, ognuna delle quali ha la sua forma e la sua forza”.
Così definisce Arjun Appaduraj la
globalizzazione, come portatrice di questo fenomeno sociale che lui definisce
come ansia da incompletezza. L’antropologo evidenzia questo fenomeno che sembra
non escludere nessun gruppo sociale, causando come una sorta di domino che vede
nascere un’insofferenza per le differenze che produce e che porta un aumento
della rabbia. Inoltre, secondo Appaduraj, ciò genera anche un forte senso di
insicurezza, che può essere facilmente manipolato dalla politica locale,
permettendo di oltrepassare la linea fino a sfociare nella violenza. Infatti, l’antropologo
sostiene che questa ansia, la quale deriva da una forza totalizzante, è il
sentimento che convoglia la violenza e l’intolleranza.
È un fenomeno che ha aumentato le
disuguaglianze, non solo economiche, ma anche sociali. A livello economico si
tratta di una vera e propria disuguaglianza che coinvolge tutte le persone di
questo mondo tranne quella percentuale di persona che ha visto aumentare i
propri profitti. Si tratta del risultato di uno sfruttamento della forza del
lavoro favorito in gran parte dalla delocalizzazione e immigrazione. La
diminuzione dei redditi da lavoro ha portato con sé forti ripercussioni
sull’insieme dell’economia, diminuendo il mercato interno e gli spazi di
investimento per la piccola impresa. Senza dimenticare che le aspettative di
vita si sono impoverite, portando una forte precarietà sociale che colpirà
principalmente le nostre generazioni.
Tramite la liberazione dei
capitali finanziari si sono andati a privilegiare gli investimenti a breve
termine rispetto a quelli a lungo termine. La principale differenza è che se
con quelli a lungo termine si va ad alimentare l’economia reale, con quelli a
breve termine ogni giorno masse enormi di denaro virtuale vengono spostati sulle
piazze finanziarie mondiali, destabilizzando stati e governi. Ciò ha portato a
quella che è la crisi economica del 2007-2008, che ha visto un forte
impoverimento e una finanza senza regole come principali protagonisti. Coloro
che sottoscrivevano mutui si sono indebitati andando oltre le loro possibilità
economiche, portando inevitabilmente una crisi mondiale percepita tuttora.
Insomma, la globalizzazione è ciò che ai
nostri occhi è la quotidianità, per cui mangiamo, indossiamo, vediamo ciò che è
frutto della globalizzazione. Tutte le conseguenze di questo fenomeno sono però
quelle più visibili a noi, più “vicini” ma, come per ogni cosa, non ci sono
solo i pro ma anche i contro. Certo, non fraintendetemi, adoro indossare
vestiti che magari possono essere stati prodotti in Bangladesh, anche se poche
persone si rendono conto che dietro ad una semplice etichetta ci sono magari
dietro dei bambini sottopagati e sfruttati che hanno prodotto la nostra
maglietta preferita, o che dietro alla cover del nostro cellulare sono stati
consumati dall’aereo per trasportarli più di 63 mila litri di kerosene, o che
le creme che usiamo quotidianamente sono state testate sugli animali. Tutte conseguenze
che però sono nascoste con le migliaia di campagne pubblicitarie o molto
semplicemente, dai consigli che riceviamo da chi seguiamo sui social.
Sicuramente la maggior apertura mentale, il sushi a tavola, la sciarpa turca
che ci ha regalato nostra zia sono un punto a favore, ma non vanno date per
scontato anche le conseguenze che si porta dietro ed è importante che ci sia
maggiore consapevolezza. Non sto dicendo di non mangiare più cinese, ma di
prestare attenzione sui prodotti che usiamo quotidianamente, di informarsi di
più, condividere con i nostri parenti e con nostra zia, che sì, magari la
sciarpa turca è anche bellissima, ma che a produrla è stato forse un bambino, o
un adulto sottopagato e che comprandola si sostiene quella tipologia di
mercato.
Spero che questo articolo vi sia
stato in qualche modo d’aiuto e che vi sia piaciuto,
Suha Marmash, 5ALSU