Da quando è nato Internet, il
mondo è drasticamente cambiato. Si cercano informazioni in modo istantaneo, si
cambiano le intese politiche con un tweet, si creano e distruggono relazioni
umane su Whatsapp. Come si è arrivati a tutto ciò? È fantastico o spaventoso? E
infine, come definire questo strumento potentissimo? Siamo negli anni ‘70, e un piccolo gruppo di ingegneri ha accesso ad un sistema che
permette di scambiare informazioni a distanza da un computer ad un altro. Il
suo nome è Internet. Ed è tutto qui, mittente messaggio risposta, secondo un modello che gli informatici chiamano peer to peer. Chi farà la differenza sarà Tim Berners-Lee, inventore ufficiale del Word Wide
Web. L’ingegnere infatti ha creato il modello TCP/IP che, senza entrare in
dettagli informatici, permette di collegare un solo computer con potenzialmente
infiniti altri, in base alle attrezzature disponibili. È come se ognuno
mettesse la propria piccola libreria sotto casa e chiunque potesse guardare, frugare
tra le pagine, ricavare qualche informazione in più, in modo istantaneo e senza
poter rubare nulla. E basta disporre di un computer per farlo. L’opera di
Berners-Lee è stata così importante che la regina Elisabetta l’ha nominato
cavaliere nel 2004 e il Time l’ha ritenuto una delle 100 persone più importanti
del XX secolo. Ultimo step da menzionare è la nascita di Google nel ‘98, un
motore di ricerca che ha il compito di orientare l’utente nel Web, un po’ come
una mappa. Trovare i siti infatti prima non era scontato e bisognava
addirittura comprare dei giornaletti online, come le Pagine Gialle per i numeri
di telefono. Questa piccola introduzione “storica” della piattaforma che
conosciamo oggi era necessaria per distinguere bene cos’è Internet, il Web e Google.
Questi mezzi di comunicazione, che insieme poi formano la grande piattaforma
che conosciamo, rientrano negli studi sui mass media che vanno dal secondo dopo
guerra ad oggi. Le più influenti ricerche sono state sicuramente quelle di
Marshall Mcluhan, filosofo e sociologo canadese, punto di riferimento per lo
studio della comunicazione moderna. Nei suoi libri afferma che i media si
distinguono in caldi e freddi. I primi sono quelli ad alta definizione, che
saturano i sensi di chi ne usufruisce, rendendolo passivo. I secondi invece
sono a bassa definizione e richiedono all’utente di completare quelle lacune
sensoriali che il media lascia, poiché fornisce poche o anche cattive informazioni. A quale categoria appartiene Internet? È
difficile dirlo, si deve considerare infatti quanto sia ampio e diversificato
il mare del Web. A primo impatto verrebbe da pensare alla mole di dati che
contiene: video in altissima definizione su YouTube, immagini sempre più
indistinguibili dalla realtà, ma anche forum e social network che vanno oltre
gli stimoli sensoriali e toccano direttamente le emozioni, le abilità sociali e
relazionali. Anche un intellettuale del calibro di Prensky, coniatore del
termine “nativo digitale”, sostiene che i dati siano così tanti che neanche chi
nasce nel sistema sappia gestirli. Un media caldissimo verrebbe da pensare. Ed
in parte è vero. Bisogna però concentrarsi su un piccolo ed enorme dettaglio
che differenzia Internet da qualsiasi mezzo comunicativo. Dispositivi come la
radio e la TV sono controllati da enti privati, come la Mediaset o la Rai, ma
con uno sguardo al passato anche da istituzioni quali lo Stato.
Si pensi ad esempio a “Luce” in epoca fascista, incaricata di manipolare i
cittadini attraverso il cinema e i programmi televisivi. I mittenti hanno
quindi titoli di studio e scelgono il messaggio da mandare al ricevente,
secondo un modello denominato “agenda setting”: i giornalisti che optano
per un servizio di cronaca nera piuttosto che per la notizia virale e mondana
del momento, presentatori che propongono questo o quel programma, cinema che
scelgono un film horror invece che uno romantico e così via. Come li chiama
Baricco nel suo libro “The Game” i “sacerdoti”, persone indiscutibili delle
quali l’informazione la si accetta o no, senza mezzi termini. Una comunicazione
che si può definire verticale. Internet invece inverte il dogma. I mittenti e i
riceventi in primis sono persone alla pari: dal bambino su YouTube che fa
“challenge epiche” al divulgatore appassionato che rende la scienza aperta a
tutti, dalla pagina su Facebook che posta riflessioni quotidianamente ad
account Twitter di personaggi politici come Donald Trump. Certo,
li si può chiamare “mittenti alla pari” come “legione di imbecilli”, come ha
fatto Umberto Eco sottolineando apocalitticamente quanto le idiozie che stavano
solo al bar siano state amplificate. Si insomma, c’è di tutto, ma non solo: ci si scambiano idee in modo orizzontale, ma le si possono scegliere, ovvero
quella che prima era l’agenda setting diventa agenda building. Si
vuole guardare “come fare 10 mila euro in un mese”? Si può, a proprio rischio e
pericolo. Si opta per un programma di cucina, si scarta e si passa alla
spiegazione della meccanica quantistica, nuovo link e si ascolta una canzone di
Eminem, poi subito dopo quella di Wagner. Se Internet ha funzionato è perché
assomiglia a qualcosa che conosciamo bene: la nostra mente. Link, connessioni
irrazionali, un flusso continuo che è imitato nella forma dell’ipertesto
informatico.
Questa stimolazione cognitiva è propria della caratteristica dei
medium freddi. L’utente colma le lacune sensoriali che il mezzo gli propone,
andando a completarlo. Un esempio lampante dell’anno 2019 è la puntata
“Bandersnatch” della serie “Black Mirror”: lo spettatore ha la possibilità di
modificare la trama con delle scelte che gli vengono proposte sullo schermo e
che compirà poi il protagonista. Ciò lo rende attento, vigile e anche curioso,
andando a stimolare la sua capacità visiva e di previsione del futuro. Vi è la
ricezione del messaggio, l’elaborazione tramite PPI (processi psicologici
individuali) e poi la risposta. Questa concezione della comunicazione confuta
la bullett theory, con la quale si sostiene che il mittente colpisca a
caso la folla, che poi automaticamente persuade, così come una pallottola
colpisce la sua vittima. Al contrario vi è una persuasione razionale. Chi
percepisce il messaggio infatti non è il cane di Pavlov, stimolo risposta.
Internet quindi è il mass media più potente che abbiamo, così importante a
livello sociale che è la massima espressione de “il mezzo è il messaggio”
coniata da McLuhan. Una lettera in carta con tanto di francobollo, ad esempio,
comunica qualcosa di ben diverso da un messaggio su Whatsapp. E si è visto
inoltre che questo strumento affascinante e spaventoso è andato ben oltre la
comunicazione. Anzi, si è addirittura allontanato dal controllo umano, come
prognostica sempre Prensky. Allo stesso tempo però ha creato quello che sempre
McLhuan chiama “villaggio globale”. Il mondo non è mai stato così vicino, un
abitante fidentino può essere vicino di casa di un newyorkese. C’è chi invece
ha chiamato questo mondo “oltremondo”, ovvero Baricco sempre nel libro “the
Game”, intendendo un posto virtuale parallelo alla realtà. In qualunque modo lo
si chiami, il web ha rimescolato le carte in tavola della comunicazione. E
categorizzarlo in medium caldo o freddo è, come si è visto, impossibile e
semplicistico. Si può dire che sia una via di mezzo, tra la possibilità di
copiare le sensazioni in modo virtuale e quella di colmare le informazioni con
la propria partecipazione. La verità, come al solito, sta nel mezzo.
Mussolini e la folla
È il 10 giugno 1940. Sul far
della sera, al Palazzo di Venezia, Benito Mussolini tiene uno dei suoi discorsi
più celebri. A guardarlo ora fa sorridere. Come ha fatto una persona con
l’espressione dalle labbra a becco di papera stampata in volto a persuadere
tanta gente? Poi si guarda in America e quel sorriso diventa di amarezza. È
quindi di grande importanza osservare con occhio lucido e analitico i video del
passato per vivere in modo consapevole il presente. Partiamo perciò dalla
prossemica. Mussolini, dall’alto del suo balcone, è sopra i suoi cittadini, o
forse sarebbe meglio dire sudditi, ai quali pronuncia la dichiarazione di
guerra. Questa distanza, chiamata pubblica, è tipica di un mittente che ha
maggiore importanza rispetto ai suoi riceventi, con un potere istituzionale o
politico, come in questo caso. Si possono ritrovare casi simili col papa in
piazza San Pietro o con una semplice preside della scuola che parla ai suoi
studenti. Focalizzandosi sulla forma del discorso, quindi il linguaggio non verbale,
stupisce quanto siano scandite le parole del capo dei fascisti. Pronuncia
infatti una o due frasi al massimo alla volta, poi si ferma e medita, guardando
l’orizzonte, come fosse il futuro della nazione. Il testo può essere benissimo
letto in due minuti, il discorso è pronunciato in dieci. Questi silenzi creano
suspence in chi lo ascolta, evidenziando così la gravità e l’importanza delle
sue parole, conferendo solennità. A questo scopo inoltre accompagna con ampi
gesti del corpo e delle braccia il suo pronunciarsi, in modo teatrale. La folla
è in escandescenza e si esalta particolarmente quando il dittatore pronuncia
determinate parole. Si passi ora quindi al suo linguaggio verbale, ovvero il
contenuto del discorso. Innanzitutto la parola “popoli” invita tutti a un serio
ascolto. Parole come patria, storia, libertà e soprattutto il finale “vincere e
vinceremo” creano forte fermento negli italiani, gli stessi che si esibiscono
in un coro di fischi e insulti alle parole Germania e Gran Bretagna. Da notare
la frase “scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie
dell’occidente”. Reazionarie. La stessa persona che stava tornando ad una
politica da ancient regime ha denunciato come “reazionarie” quelle
avversarie. Questo accredita sicuramente la bullet theory formulata
successivamente, ovvero la concezione della comunicazione di massa secondo cui
il manipolatore “spara” a caso sulla popolazione le proprie parole, convincendo
automaticamente chi colpisce. Sorge però qualche dubbio. Possibile che
Mussolini, con le sue pallottole di persuasione, possa colpire anche gente del
XXI secolo, fuori dal contesto sociale e storico degli italiani del ‘40? I
commenti al video di YouTube sono una risposta, a dimostrare l’attualità e
l’importanza dell’analisi della comunicazione di massa.
La bambina in rosso
E mentre Mussolini si atteggiava
per incantare i suoi cari italiani, in paesi come la Polonia avvenivano le
peggiori atrocità. Il film Schinder’s List narra di un famoso farmacista di
Cracovia, Oscar Schinder appunto, che nonostante fosse nazista ospitò, e salvò,
un gruppo di ebrei assumendoli nella sua industria farmaceutica, ora divenuta
nella realtà un museo visitabile. Il film è in bianco e nero, probabilmente per
risaltare i fatti così com’erano, senza che i colori trasmettessero emozioni
più o meno influenti sul messaggio. Gli avvenimenti appunto sono
raccapriccianti senza una retorica della luce, quasi che il messaggio fosse il
non-mezzo dell’assenza di tinte. Nella scena presa in analisi lo spettatore si
cala subito nel contesto. Un bambino cerca di aiutare come può i perseguitati,
ora una madre con una figlia ebrea. Stupisce l’innocenza del giovane kapò,
creando un effetto di ossimoro in chi osserva l’ingenuo criminale. Si passa
alla scena successiva e una melodia composta dalle voci di bambini cantilenanti
accompagna gli orrori del ghetto di Cracovia. Per qualche sequenza non servono
dialoghi, solo immagini e suoni, più capaci di colpire direttamente
l’intelligenza emotiva dell’individuo, in particolare di svegliare quella
proprietà umana che è l’empatia. Si coglie questa dagli sguardi del dr.
Schinder e della donna lì accanto, che trasmettono anche un senso di impotenza
coi loro occhi rassegnati. Racchiude tutto l’“andiamocene” della signora, che
non vuole guardare, ma neanche può agire. All’improvviso però qualcosa di
particolare attira l’attenzione del medico, ma anche dello spettatore che
guarda atterrito la scena. È un porpora in mezzo al marasma dei nazisti che
trucidano gli ebrei, che corre vivace evitando la cattura. Una bambina dal
cappottino rosso. Questo colore intenso suscita molte domande. Cosa
rappresenta? La speranza come attaccamento alla vita? L’innocenza di fronte
alla tragedia nazista, come prima col kapò? Oppure darà una svolta a questa
terribile storia e quindi va sottolineata? Tutti questi interrogativi suscitano
nel ricevente di questo enigmatico messaggio un’elaborazione dello stesso,
ovvero si tratta dei processi psicologici individuali che l’individuo pone come
intermedi tra la ricezione e la risposta ad uno stimolo, in questo caso il
colore rosso. L’osservatore quindi è ben attivo davanti lo schermo. Il culmine
della partecipazione avviene ad un tratto, quando si vede una carriola che
trasporta cadaveri. Tra queste si nota proprio quella bambina, che qualsiasi
cosa rappresentasse, il messaggio è chiaro. È morta.