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Domenico Iannacone |
In
un momento in cui la tv pubblica deve risolvere qualche imbarazzo culturale per
via di alcune trasmissioni – anche storiche – che fanno dubitare su quando sia
educativa la televisione italiana, mi sono imbattuto in una trasmissione
intitolata “Cosa ci faccio io qui”. Un documentario raccontato da quelle voci
che spesso – troppo spesso – non vengono ascoltate.
Domenico
Iannacone, giornalista dalla sensibilità per il vero che riesce con poche domande
e senza la ricerca dell’eccesso tipico della tv, racconta storie di uomini e
donne distintisi per atti di coraggio o per la propria tenacia in momenti di
particolare durezza ed in situazioni ostili, mostrando determinazione, forza e
audacia.
La trasmissione va in onda la domenica in prima serata, su Rai3 e mostra uno
spaccato di vita che, un ragazzo come me, che ha tutto quello che serve per
crescere nel migliore dei modi, fa fatica a comprendere. Per questo motivo ho
voluto riprendere un’intervista che Iannacone ha girato per le vie di Scampia.
Non è il film di Gomorra, semmai il racconto semplice e senza eccessi verbali,
di quanto accade nel rione delle Vele.
"Quando
ero piccolo sognavo di avere una pistola, adesso che sono grande sogno di
essere un bambino."
Rileggendo
queste parole, senza sapere chi le abbia scritte, molte persone tenderebbero ad
attribuirle a qualche famoso attore che, rievocando i ricordi della sua
infanzia, ricordi con piacere di quando da piccolo desiderava essere un cow-boy
come quelli che ammirava nei film western.
In
realtà, le parole sopra riportate sono state dette da Davide Cerullo, scrittore
napoletano, che sicuramente non è comparabile con i più grandi letterati del
passato o celebre come un attore di Hollywood, ma la sua storia merita di
essere raccontata, perché la sua non è una storia come tutte le altre.
Davide,
nono di quattordici figli, nasce nel quartiere di Scampia, dove vive con la
madre e i fratelli, dopo l'allontanamento del padre.
Non
è facile vivere a Scampia, tra condizioni di vita precarie, un tasso di
analfabetismo altissimo e la criminalità organizzata che fa da padrona. Questo
il piccolo Davide lo sa bene, e per questo decide di affiliarsi alla Camorra: è
una decisione per lui semplice e giusta, ma che in seguito si rivelerà essere
un errore fatale.
"Ancor
prima di essere vittima dei nostri sbagli, eravamo vittima degli altri. Per
troppi eravamo i ripetenti, i male carni, gli analfabeti, figli dei
disoccupati, quelli con le scarpe bucate e il frigorifero vuoto. La nostra
infanzia, un'emergenza continua, quasi fosse stampato nel nostro codice
genetico il rischio. Quando eravamo semplicemente esclusi, con la morte che ci
girava intorno, avevamo promosso il boss e bocciato la vita: allora, la
violenza diventò uno stile di vita, la Camorra la nostra unica famiglia."
Davide
entra a far parte del Clan Di Lauro, uno dei più potenti di Napoli, all'età di
10 anni: per lui, la Camorra è come una famiglia e, diventando un camorrista,
si sarebbe meritato il rispetto e la paura della gente. Entrando a far parte
della Camorra, Davide si sente al settimo cielo: gli viene affidata una delle
piazze di spaccio più importanti di Scampia, attività che gli permetteva di vivere.
A 14 anni riceve per la prima volta una pistola, che lo fa sentire come il
padrone del mondo.
Ma
Davide non può immaginare che sta per cominciare il periodo più brutto della
sua vita.
Un
giorno, mentre sta pranzando, sente la notizia dell'arresto della madre, da
sempre occupata nelle faccende più umili, ma che nell'ultimo periodo si è
dedicata ad attività di spaccio. Per Davide, questa è una batosta difficile da
digerire, che lo porta a digiunare per un'intera settimana.
All'età
di 16 anni e mezzo, Davide subisce un attentato, che ne mette a rischio la
vita, ma che alla fine gli provocherà "solo" la rottura della gamba
sinistra. Al suo arrivo in ospedale, alle domande su cosa gli fosse accaduto,
Davide si sente in dovere di rispondere inventando una scusa, quella della
rapina subita, per evitare conseguenze peggiori.
Per
il ragazzo, però, non sembra bastare: verrà arrestato poco tempo dopo
l'attentato subito e verrà condotto in carcere anche una seconda volta, all'età
di 18 anni.
"Quando
mi hanno arrestato, non mi hanno ammanettato: io, invece, volevo essere
ammanettato, come i camorristi che venivano arrestati. Ma i carabinieri mi
dissero che non ero nessuno, che le manette non servivano."
La
vita di Davide sembra sempre più dirigersi verso la voragine, fino a toccare il
fondo: tutto è destinato a volgere al peggio, per lui ora tutto è più
difficile. Finché, un giorno, mentre è recluso in carcere, sotto gli occhi di
Davide si presenta un libro, un banalissimo libro, un libro come tanti altri,
che non ha mai avuto la possibilità di leggere: Davide ancora non sa che quel
libro che tanto lo attrae è il Vangelo, il libro che gli cambierà per sempre la
vita.
Il
ragazzo capisce che la sua vita non è diretta su una strada a senso unico, ma
che esistono tante altre strade da intraprendere: la Camorra, da questo momento
in poi, sarà una parola che Davide cancellerà dal libro della sua esistenza.
"Nel
carcere, tornato dall'ora d'aria, vedo sopra il mio letto il Vangelo e cominciai
a sfogliarlo: negli Atti degli Apostoli trovai scritto il mio nome,
"Davide", e capii che avrei potuto fare parte di qualcos'altro.
Sottolineai le scritte "Davide" e decisi di strappare quelle due
pagine, che ancora oggi conservo. Mi sentii libero in uno spazio dove in realtà
ero prigioniero: era avvenuto il primo atto di libertà mentale."
È
bastato poco a Davide per svoltare, per darci un taglio con il passato, per
riconsegnarsi a sé stesso. In seguito, comincerà a leggere e ad appassionarsi di
letteratura, fino a diventare un apprezzato scrittore, autore di libri noti
come "Ali bruciate", "Diario di un buono a nulla",
"Poesia cruda. Gli irrecuperabili non esistono".
La
storia di Davide può riguardare le tantissime persone che si ritrovano quotidianamente
ad affrontare problemi di vario genere che, col tempo, si fanno sempre più
grandi, fino a diventare insostenibili ed è la dimostrazione che ogni singolo
evento che ci accade, unito a una grande forza di volontà, possa cambiare per
sempre la nostra esistenza, come è stato per Davide.
“La
parola crea i ponti, le relazioni tra le persone”, e nessuno dovrebbe chiedersi
cosa ci fa nel mondo.
Mattia
Pellegrini, 5ALSU