L’aborto è sempre
stato uno degli argomenti più discussi di tutti i tempi.
Anche quando era
una pratica illegale (in Italia l’aborto è stato normato con la legge 194 nel
1978, prima di questa legge era considerato reato perseguito penalmente), le
interruzioni delle nascite erano una realtà scomoda che – spesso – sistemava delle
situazioni altrettanto scomode.
C’è chi è pro, e
quindi accetta l’aborto e c’è chi è contro, e giustifica la sua contrarietà con
la religione o con la teoria secondo la quale il feto è già un essere vivente e
non un semplice fagiolino.
Con questo articolo
non è mia intenzione entrare nel merito di cosa sia giusto oppure no, semmai
cercare di porre sotto i riflettori un’unica domanda: quanto si deve spingere
la legge là dove si parla di scelte intime ed individuali?
Il quesito torna
alla ribalta dopo la decisione presa dalla governatrice dello stato americano
dell’Alabama, la repubblicana Kay Ivey, di firmare una legge che –
sostanzialmente – vieta la pratica di abortire, anche in caso di stupro, con
unica eccezione, il rischio serio della vita della madre.
La norma
dell'Alabama, oltre a vietare di fatto l'interruzione di gravidanza in ogni
circostanza, stabilisce che i medici che la praticano rischiano fino a 99 anni
di carcere. Mentre quelli che solo tentano di praticarla possono finire in
carcere per 10 anni. La legge è stata approvata a larga maggioranza dal Senato
dell'Alabama, con 25 voti a favore e 6 contrari. La Camera l'aveva già
approvata lo scorso mese, con 73 voti favorevoli e 3 contrari. Il
dibattito nell'aula del Senato dell'Alabama è stato durissimo ed è andato
avanti fra molte proteste: le donne sono scese in piazza vestite da 'Handmaid's
Tale', la serie tv ispirata al romanzo Il
racconto dell'ancella di Margaret Atwood.
Altri 29 Stati Americani
hanno approvato il decreto.
La governatrice
repubblicana Kay Ivey ha messo in chiaro la motivazione della legge con un post
su Twitter: "Per i molti sostenitori di questo provvedimento questa legge
serve a testimoniare in modo possente la profonda convinzione della gente
dell'Alabama che ogni vita è preziosa ed è un dono sacro di Dio".
Tantissimi
democratici si sono scagliati contro questa legge come la senatrice di New
York, Kirsten Gillibrand, che ha commentato: "Con questo tentativo
dell'Alabama è un attacco alla libertà riproduttiva delle donne e ai nostri
diritti civili fondamentali".
Anche Hillary
Clinton denuncia la scelta politica della governatrice: "Un attacco alla
vita e alla libertà delle donne", ha dichiarato.
Torniamo allora alla
domanda posta all’inizio di questo mio articolo: quanto si deve spingere la legge
là dove si parla di scelte intime ed individuali?
C’è chi parla di legge
limite che impedisce alle donne di fare delle scelte che riguardano il proprio
corpo. C’è chi sostiene, invece, che si parla di diritto alla vita. I diritti alla vita – lungo i secoli – hanno dovuto percorre molte strade spesso irte di ostacoli e ricche di pregiudizi e ipocrisie.
Solo il 20 novembre del 1989 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvava la Convenzione ONU sui Diritti dell'infanzia. Il motivo di tanto ritardo? I minori non hanno diritti, quindi come si può parlare di diritti là dove non ce ne sono? Il serpente che si mangia la coda.
Anche il tema di aborto e diritto alla vita è un serpente che si morde la coda: una donna ha diritto di interrompere una gravidanza indesiderata? Il feto è un bambino in potenza quindi già vita?
Alcuni critici sostengono
che stiamo rivivendo un novello medioevo.
L’habeas corpus, ossia il diritto sulla salvaguardia della libertà
individuale contro l'azione arbitraria dello Stato, è una disposizione
emanata nel 1679 da Carlo II di Inghilterra. Ho dunque un’altra domanda: e se noi – uomini moderni - fossimo meno illuminati
dei medievali?
Suha Marmash, 2ALSU